Pensioni: abbiamo bisogno di Europa

L’invito di Bossi ai militanti di prepararsi perché la Padania è in arrivo

Il dibattito sulla manovra economica mette in evidenza due aspetti che danno una misura della strada che dobbiamo ancora percorrere per essere effettivamente in Europa; intendiamo come Europa Paesi quali Francia, Germania e Inghilterra, con i quali ci possiamo raffrontare per dimensioni geografiche, popolazione, tradizione di collocazione occidentale.

Il primo aspetto è l’invito di Bossi ai militanti di prepararsi perché la Padania è in arrivo e la risposta di Berlusconi che dice che “l’Italia esiste ed esisterà sempre”: Anche senza decidere se questo sia un bene o un male una volta che fosse avvenuto, è evidente che un disfacimento dello Stato (con la S maiuscola) metterebbe in crisi il sistema pensionistico.

Secondo dati dell’ Inps già nel 2005 in Italia vi erano 78 pensionati ogni 100 occupati. In termini assoluti nelle regioni settentrionali vi era Il 47,2% del totale (oltre 7,8 milioni di individui), nelle regioni meridionali e insulari il 30,2%, in quelle centrali il 19,5%. Vi erano poi 510 mila pensionati residenti all’estero (3,1% del totale). In rapporto alla popolazione residente, il numero dei pensionati delle regioni settentrionali (273 per mille abitanti) però era superiore sia a quello medio nazionale (268 per mille), sia a quello riferito alle regioni centrali (265 per mille abitanti) e del Mezzogiorno (263 per mille abitanti).

Dividere l’Italia, quindi non conviene, pensionisticamente almeno, perché non si capisce con quali contributi potranno essere pagate tutte quelle pensioni, che sono inps, cioè di cittadini normali, senza particolari privilegi. Si rischierebbe per di più di scoprire che il Nord, tradizionalmente sede di industrie e terziario evoluto in grado di fare bene i propri calcoli, ha pensionato in anni recenti e sta pensionando più percettori di introiti elevati (e costosi per il sistema ) di quel che viene fatto nello stesso periodo al Centro-Sud.

 (fonte: i beneficiari delle prestazioni pensionistiche – istat - inps 2005)

Il secondo aspetto riguarda la composizione del reddito pensionistico del singolo individuo. Negli altri Paesi europei citati in apertura, si è già arrivati da tempo al sistema contributivo, cioè al fatto che l’entità della pensione è proporzionata ai contributi che l’individuo ha accumulato nel corso di tutta la sua vita lavorativa; lo stato aiuta a realizzare questo piano consentendo opportune detrazioni fiscali per incentivare i piani pensionistici, al preciso scopo di fare in modo che in vecchiaia l’individuo gravi il meno possibile sulla collettività.

In Italia siamo ancora fermi al punto in cui la maggioranza dei pensionati attuali è stata pensionata secondo il sistema retributivo, cioè con meccanismi che legano l’ammontare della pensione ai redditi percepiti negli ultimi anni di lavoro. Non si tratta di giudicare se sia giusto o ingiusto che la pensione sia pari all’80% della media degli ultimi anni (quanti anni? 5, 10,15?) o come secondo tendenze più recenti al 70 o anche al 60%. Il dato fondamentale resta quello che per arrivare a una transizione importante dal sistema retributivo a quello contributivo si arriverà oltre il 2030 con un intermezzo di trattamenti pensionistici retributivi sempre meno favorevoli.

(fonte: i beneficiari delle prestazioni pensionistiche – istat - inps 2005)

E’ ovvio che “tagliare le pensioni” diventa per qualsiasi schieramento politico un provvedimento grave e impopolare. Prendiamo il grafico del numero di percettori di più pensioni e proviamo a immaginarcelo opposto in futuro: se i percettori di una pensione fossero l’1,3% (ma fossero anche il 10%) e quella pensione dovesse essere tagliata da una politica di austerità di un qualsivoglia governo, sarebbe possibile immaginare nei confronti di questi soggetti defiscalizzazioni, politiche di solidarietà o altro.

Il problema vero è fare in modo che le generazioni degli attuali lavoratori ancora lontani dalla quiescenza riescano ad accumulare le “altre” pensioni integrative con fondi o altri meccanismi di categoria o volontari oltre a quella dell’istituto principale di riferimento e che solo questa pensione venga assoggettata a variabili “congiunturali”


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Articolo pubblicato il 24/08/2011