Srebrenica vent'anni dopo : la Serbia condanna

Sette sospetti sono stati arrestati dai tribunali serbi con l'accusa di aver preso parte al genocidio del luglio 1995

Dopo vent’anni di silenzio e conflitti irrisolti, soprattutto con il passato, due settimane fa si è potuta respirare aria di cambiamento nei Balcani. La Serbia fa piccoli passi in avanti e fa fronte in modo aperto e diretto agli orrori del luglio 1995, il dimenticato massacro di Srebrenica.

Qualche mese prima della fine della guerra in Bosnia, nel 1995, circa 8000 persone tra uomini e bambini, di religione islamica, sono stati massacrati in pochissimi giorni dopo che il luogo dove si erano rifugiati, considerato “zona di sicurezza” dalle Nazioni Unite e presieduto da 400 caschi blu olandesi, fu invaso da alcune unità dell’armata della Repubblica serba di Bosnia.

La polizia ha arrestato sette su otto indagati, che essendo stati membri di una brigata speciale della polizia bosniaca-serba hanno a carico una grande responsabilità per ciò che è accaduto.

Radovan Karadzic e Ratko Mladic, due leaders dei serbi bosniaci durante la guerra (1992-1995) che avrebbero permesso il genocidio di Srebrenica, sono a Le Hague sotto processo al tribunale internazionale per i delitti di guerra.

Nel 2011 Ratko Mladic, uno dei maggiori responsabili del massacro, fu inviato dal governo Serbo al tribunale di Le Hague.

Nonostante dei miglioramenti siano visibili nell’approccio riservato al genocidio, ancora molto è da fare, soprattutto a livello interno e popolare.

Per qualche malaugurata ragione, e senza dubbio anche per la non troppo estrema presa di posizione per la condanna degli atroci eventi da parte del governo Serbo, una buona maggioranza della popolazione serba tende a non voler parlare di ciò che è successo durante la guerra dei Balcani e in particolare a Srebrenica.

Troppo spesso gli occhi dei serbi sono stati chiusi con forza da chi è ben cosciente che orrori del genere portano con loro conseguenze inimmaginabili, soprattutto se l’opinione pubblica si esprime con una forte condanna a ciò che è stato.

Il tribunale di Le Hague continua a essere visto da molti serbi come una soluzione all’europea, non di giudicare imparzialmente le persone coinvolte nel genocidio, ma come un modo per stigmatizzare e umiliare la popolazione serba.

Molte sono le domande che ancora vengono poste, forse solo più retoricamente, a spiegazione di come, a cinquant’anni dalla Shoah, e dopo tutti i consensi e gli accordi perché tutto ciò non capitasse mai più, sia avvenuto il maggior genocidio nella storia dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale.

Ci si chiede come è possibile che le Nazioni Unite abbiano permesso tutto questo, e come ci si sia uccisi, slavi tra slavi, in modo così atroce.

In Bosnia-Erzegovina si chiede giustizia e si piange ancora sulle tombe di chi è sepolto; perché quel che è peggio, è proprio che molti ancora cercano, dopo vent’anni, di identificare i propri cari – e i ritrovamenti dei cadaveri continuano.

Proprio dopo vent’anni, in Bosnia-Erzegovina si ricordano le vittime e si pensa spesso a ciò che succede all’estero, alle atrocità che si ripetono in qualche altra parte del mondo, e così si sentono vicini, in particolare, alla Siria.

Una parte della mostra fotografica della “ Galerija 11/07/1995 “ di Sarajevo è infatti dedicata ai recenti eventi in Siria, per ricordarci che “Solo perché non sta succedendo qui non significa non stia succedendo altrove”  e che, come cantavano gli U2 e Pavarotti in “Miss Sarajevo”:

 

C'è un tempo per mantenere le distanze ?
Un tempo per distogliere lo sguardo ?
C'è un tempo per abbassare la testa
Per proseguire la tua giornata ? “

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Articolo pubblicato il 27/03/2015