Arvdse Gipo

In ricordo dell'indimenticabile chansonnier torinese

L’ho conosciuto per sentito dire, e quel sentito dire, quando ero “gagno”, veniva da mia nonna Catterina.

Si metteva un cappellino che più piemontese di così, “si tirava” diremmo oggi, e partiva dal “Borgh dal fum”, dove abitavamo.

E se le chiedevi “dove vai”, al pomeriggio di certe domeniche, ti rispondeva come se fossi un marziano:” all’Erba, c’è il Gipo”!

Come dire “ ma dove vivi, c’è il Gipo e io me lo perdo?”.

Il Gipo è stato quindi prima un nome, poi un’ovvietà, quando faceva uno spettacolo, la “Vecchia Torino” era lì.

Anche perché Gipo è, e rimarrà la Vecchia Torino.

Quella che non si vede ma si sente, ora bisogna fare molta più attenzione per sentirla, ma c’è ancora.

Gipo veniva da lì, da via Cuneo, dalla barriera, allora, e non proprio centro ancora adesso.

Ma, ha avuto la capacità, rara, in un artista, di rimanere. Rimanere se stesso, rimanere piemontese anche quando portava la nostra cultura in giro per il mondo. Con le sue canzoni, con i suoi spettacoli, anche in America del Sud, c’era il Piemonte.

E Gipo rimaneva, fortemente piemontese, fortemente torinese.

Ha calcato svariati palcoscenici, dalla canzone d’autore e impegnata, ricordiamoci di quella “Ballata per un eroe” di forte connotazione antimilitarista, ai palcoscenici teatrali, dalle canzoni più leggere a, ultimamente, alla politica.

Avevo sentito della sua malattia, che lo aveva costretto a rimandare un impegno importante nelle ultime settimane, ma aveva avvertito tutti che sarebbe stata un’assenza breve. Così purtroppo non è stato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 13/12/2013