Anziani: nuovi pazienti a trecentosessantagradi

Nuove frontiere per lo studio delle patologie

Il nuovo Congresso Nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, tenutosi a Torino dal 27 al 30 novembre, sembra aver posto dei punti fermi sulle nuove frontiere per lo studio di patologie che interessano principalmente pazienti anziani.

Occorre avere ben presente la tipologia di persone a cui si riferiscono nuovi studi ed applicazioni di terapie già confermate nelle varie cure.

Il paziente definito anziano, rappresenta infatti una tipologia di ammalato decisamente particolare. Questo è anche dimostrato dall’alto numero di medici che, ultimamente, decidono di intraprendere la specializzazione proprio in geriatria e gerontologia.

Chi si occupa di questa particolare branchia della medicina, indica infatti il “paziente anziano “ come “ un paziente la cui anamnesi deve tenere conto non soltanto del suo attuale stato di salute, ma di una serie di eventi, facenti parte della sua vita, che possono determinare cause e concause di una esistente patologia. La visita, quindi, dovrà tenere conto di tutti gli aspetti fisici, e molte volte non soltanto fisici, che mostra il paziente stesso”.

In poche parole, il medico specializzato che si occuperà della persona anziana, dovrà tenere conto anche di “situazioni” che non riguardino solo la sfera strettamente medica e la conseguente , ove ve ne fosse bisogno, prescrizione di farmaci.

La sua opera dovrà infatti “interpretare” bisogni dell’anziano che, a volte, possono sfuggire.

A seguito di questo, non sono ormai poche le aziende ospedaliere che offrono un supporto ai pazienti ricoverati, grazie alla psicogeriatria, specialità che permette di avvicinarsi ai bisogni dell’anziano, sotto diversi punti di vista.

Numerose, infatti, sono le patologie che interessano disturbi cognitivi o anche solo di semplice orientamento e che interessano in maniera significativa la vita sociale degli anziani.

Da quella che potremmo definire “una semplice depressione”, all’anemia, a patologie molto più importanti, come demenza senile, o alla più severa Malattia di Alzheimer, tutte toccano, chi non lo sa, la vita dell’ammalato e quella dei suoi famigliari.

Durante i convegni sono stati indicati più punti, grazie ai quali si potrebbe cercare di  frenare la corsa di eventuali patologie più o meno gravi.

Verso questa direzione, converge l’attenzione agli stili di vita, e di conseguenza al “ vivere bene prima, per curare meno dopo”.

Infatti, anche in questo caso, l’attenzione si punta soprattutto sulla prevenzione.

Prevenzione che può riguardare sia gli stili di vita, intesi come vita sociale, che attenzione alla nutrizione.

Un occhio di riguardo quindi a come si vive, e anche a come ci si rapporta con gli altri, durante la nostra esistenza e a come affrontiamo quotidianamente situazioni che possono indebolirci.

Non bisogna dimenticare che le sollecitazioni nervose di varia natura a cui siamo sottoposti, in un modo o nell’altro, presenteranno il conto nel corso degli anni.

Se possiamo, quindi, viviamo a ”misura d’uomo e soprattutto facciamo anche molta attenzione a cosa mangiamo”.

“La qualità della nostra nutrizione, rappresenta un importante baluardo verso le malattie che si propongono in età avanzata”.

Una gestione alimentare, giusta, gli stessi scienziati si rendono conto che richiedere l’ascetismo sarebbe del tutto fuori luogo, aiuta sicuramente, nella maggior parte dei casi ad arrivare ad un’ età importante, avendo dalla propria un fisico meno appesantito e provato.

Proprio in questo campo, ultimamente, si muovono alcune interessanti ricerche di buon livello, sulla implementazione – ove richiesto e sotto controllo medico- di alcuni composti, come vitamine ed aminoacidi, che sarebbero in grado di fornire substrati importantissimi per la vita cellulare.

“In questo modo, un anziano sarcopenico, allettato per una patologia, potrebbe avere buone possibilità di reagire in modo significativo alle cure a cui viene sottoposto, senza dimenticare le ferite difficili, o piaghe da decubito, così usuali in persone costrette alla immobilità”.

“Un mitocondrio sano, che riesca a produrre energia in modo soddisfacente all’interno della cellula muscolare, vorrebbe dire più attività, più forza, meno insulinoresistenza, meno scorie azotate, e quindi un fisico più tonico e in grado di resistere meglio agli attacchi, inevitabili, del tempo che passa".

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 03/12/2013