Le fontane di Torino
La fontana angelica

Poche quelle monumentali perchè nessuno pensò mai di erigere fontane per festeggiare una vittoria

Napoleone, dopo la battaglia di Marengo, volle celebrare la vittoria facendo costruire a Parigi non un arco di trionfo, ma una fontana. A Torino, capitale di uno stato (quello piemontese) che fu piccolo ma che ebbe numerose e celebri vittorie, nessuno pensò mai di erigere fontane per festeggiare una vittoria. Sarà anche per questo il motivo storico per cui Torino scarseggia alquanto di fontane monumentali; e proprio la mancanza di grandi fontane può forse essere all’origine della scarsa (o quasi nulla) attenzione che l’amministrazione torinese ha riservato negli anni a questo tipo di arredo urbano.

Attenzione (o, meglio, disattenzione) che affonda le sue origini già tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, se è vero che il Comune si prese la briga di eliminare dalla carta della città tutte quelle fontane che ostacolavano il passaggio dei tramvai o che diventavano di impiccio per la semplice circolazione. Il caso più celebre riguarda la fontana di Sant’Eusebio, una bella vestigia della Torino che fu: si trovava nell’attuale via XX Settembre, all’incrocio con via Santa Teresa.

Il Comune decise, senza pensarci due volte, che quella antica fontana – per fortuna testimoniata da disegni e foto d’epoca – andava smantellata perché ostacolava il traffico. Smontata e mai più riposizionata da altre parti: che se ne faceva, d’altronde, Torino di una fontana? Pochi anni prima, il Comune aveva decretato la fine anche di un’altra fontana, in quella che un tempo era piazza d’Italia (la parte di Piazza della Repubblica più vicina al centro storico, naturale confluenza di via Milano): in questo caso si trattava di una ardita fontana di zinco, illuminata di notte con delle fiammelle di gas e da globi di vetro colorato. Una vera opera d’arte, creata da Giacinto Ottino e collocata nel 1854, in occasione delle feste per lo Statuto. Anche qui, il motivo che giustificò la demolizione dell’opera fu l’intenso traffico che interessava la via; anche qui, nessuno pensò di ricollocarla altrove.

 

E se Torino perse due fontane nel cuore della città, altre si sono salvate per puro caso: come la monumentale fontana dei Mesi, opera di Carlo Ceppi del 1898, costruita per l’Esposizione Universale che si svolgeva, quell’anno, al Valentino. Tutti gli altri edifici sono stati distrutti, la fontana è stata l’unica superstite. “Miracolati” sono stati pure di toret, le classiche fontanelle verdi che dagli anni Trenta sono un elemento inconfondibile del nostro panorama urbano: il progetto di sostituirle con degli orrendi cippi di pietra di luserna, roba che sembrava acquistata in un negozio di articoli da giardino, è naufragato dopo la levata di scudi degli stessi torinesi, che hanno difeso la peculiarità di questo particolarissimo simbolo della città.

 

E oggi come stanno le fontane cittadine? Male. Male per molte ragioni, ma la principale è probabilmente la scomodità: perché una fontana è un elemento difficile da mantenere, con l’acqua che scorre, le tubature, la pulizia. Insomma, meglio tenerle chiuse, che così si risparmiano tempo e soldi: così sono a secco da anni quelle di via Santa Chiara, di via Bertola, di piazza Galimberti del parco Di Vittorio, di Italia ’61 (solo per fare alcuni esempi, tra centro e periferia). Quelle in funzione non è detto che siano poi in condizioni migliori: nella fontana di piazza Statuto spesso l’acqua si trasforma in una specie di pantano melmoso; in piazza Cln nei vasconi della Dora e del Po si trova di tutto, e anche qui la pulizia è spesso scadente. Da poco anche il getto d’acqua di piazza Carlo Felice è stato riportato all’antico splendore: c’è da chiedersi come mai si debba aspettare tanto per rimettere in funzione tutte le fontane ancora chiuse; e, perché no, magari rimontare quelle vecchie, il cui materiale potrebbe ancora giacere in qualche polveroso magazzino.

 

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Articolo pubblicato il 11/11/2013