Piazzale Valdo Fusi: un indecente parcheggio
Il "Valdo Fusi"

Simbolo della modernità livellatrice di ogni cultura

Quando, nel 1740, il consigliere del Parlamento borgognone Charles de Brosses, fine linguista e filosofo francese, visitò Torino, le sue impressioni sulla città furono entusiaste: “Torino mi sembra la città

più graziosa d'Italia e, per quel che credo, d'Europa per l'allineamento delle strade, la regolarità delle costruzioni e la bellezza delle piazze”, scriveva, colpito dalla regolare simmetria dei palazzi, dall’aria austera ma allo stesso tempo affascinante degli edifici. Uno dei luoghi che certamente poté colpirlo favorevolmente fu quell’area di città allora al limite meridionale delle mura, chiamata Isolato del Crocefisso. Ma, se il lettore già si immagina di sentirsi elogiare le virtù di qualche curioso palazzo della “Torino nascosta”, si rassegni: al posto delle vecchie glorie, oggi c’è un indecente parcheggio: il simbolo della modernità livellatrice di ogni cultura, il frutto (marcio) della civiltà del consumo nella quale siamo precipit

ati. Ecco a voi piazzale Valdo Fusi.

Già dal nome, si capisce che questo è un “non-luogo”: perché un piazzale, in sé, (e il dizionario concorda) è già la brutta copia di una piazza; un luogo che si associa generalmente ad una vasta landa

di cemento, in una periferia non meglio identificata, magari di forma irregolare e circondato da qualche casermone anni ’60 o da un immancabile supermercato. Insomma, un posto di per sé pregno di significati, di valori, di cultura. Una descrizione che si sposa benissimo col nostro piazzale, se non che il “Valdo Fusi” è una specie di landa desertica precipitata in mezzo al centro storico: come se all’improvviso si fosse reso necessario riempire un “buco” sulla carta di Torino e si fosse optato per il primo progetto a disposizione, ovvero un piazzale pieno di nulla, buono per una sconcia periferia.

In effetti, il “Valdo Fusi” deve proprio coprire un buco: uno dei tanti provocati dalla guerra che devastò Torino. Al posto dell’attuale steppa urbana c’erano infatti il Regio Museo Industriale, istituito nel 1862, un’ala del Politecnico e un convento. Il bombardamento alleato del 1943 rase tutto al suolo. Con la fine della guerra, si rese necessario ricostruire. Ma, mentre il vicino palazzo Morozzo della Rocca veniva abbattuto e l’intero isolato veniva sventrato per lasciare il posto alla borsa valori, sorte non meno triste veniva riservata per il Museo Industriale: i ruderi vennero rimossi, ma al loro posto rimase il niente. Chiaramente, di ricostruire il palazzo danneggiato dalla guerra non se ne parlava: già nel 1964 si iniziò a studiare come sistemare il piazzale, mentre nel 1986 l

’area diventava parcheggio pubblico, e veniva intitolata a Valdo Fusi.

Un primo progetto di Alvar Aalto e di Leonardo Musso prevedeva un albergo da centocinquanta camere situato su via Accademia: per fortuna, il progetto non vide il via. Il danno minore sarebbe stato lasciare il parcheggio così com’era ma, sotto la spinta delle Olimpiadi, si pensò ad una sistemazione diversa: un parcheggio interrato con il rifacimento della piazza – pardon, piazzale – sovrastante. Il 2 febbraio 1998 il Consiglio Comunale diede il via libera.

Il 20 gennaio 2001 “La Stampa” riporta l’inizio dei lavori: un cantiere di due anni, per 675 posti auto complessivi; 2 miliardi e 350 milioni di lire il costo. «Sulla copertura del nuovo parcheggio nascerà  una bellissima piazza-giardino progettata dagli architetti Cretti, Dolza e Felisio», è il commento entusiasta. Prosegue “La Stampa”: «Un grande e lieve “invaso” definito da un piano orizzontale ribassato e racchiuso sui quattro lati da “ali” inclinate e collegate con il perimetro dell'area. Un modo per trasformare la piazza in una scenografica, piccola valle che ospita nel suo cuore una serra: giardino d'inverno che diventerà  u

n punto d'incontro riparato nella stagione invernale che ospita i locali di gestione del parcheggio interrato». Insomma, un Eden urbano.

Ma oggi, ad appena una decina di anni di distanza, cosa rimane della millantata serra e della scenografica piazza? I torinesi lo sanno bene, e i non torinesi lo possono immaginare: nulla. La serra, la piazza scenografica, la Valle Incantata, la Terra Promessa, l’Eldorado e via dicendo non ci sono. C’è solo un enorme, sterile, squallido deserto. Una landa di 14mila metri quadri che nessun torinese sente come “sua”, in quanto attraversarla, d’estate, significa esporsi al sole a picco, mentre d’inverno vuol dire rabbrividire per le raffiche di vento gelido. In mezzo al piazzale – dulcis in fundo – si trova poi una “cosa” di dubbio gusto: un oggetto che forse intende imitare la già criticata piramide di vetro del Louvre e che in realtà è l’accesso al parcheggio.

A cosa servirà questo luogo così enfatizzante? Se lo è chiesto anche il Comune, relegando nel gabbiotto al centro della piazza la “Casa Canada” durante le Olimpiadi, salvo poi lasciare il tutto in uno stato di semi-abbandono. Una desolazion

e ben evidente oggi, a soli dieci anni dalla costruzione dell’opera: pavimentazione da rifare, muri imbrattati, piante mingherline ben lontane dalla millantata serra. L’unica cosa che rimane in funzione è il parcheggio.

Il parcheggio, già. Perché per accedervi bisogna usare due rampe, debitamente nascoste dalla piazza che “sale” e le copre alla vista. Intento lodevole: le rampe dei parcheggi non sono un bello spettacolo. Peccato che in questo modo si vengano a creare due muraglioni che oscurano i lati nord e sud, e che di fatto costituiscono la parte più odiata del piazzale.

A capire che su piazzale Valdo Fusi era stato collocato l’ennesimo bidone architettonico è stata la cittadinanza. Già il 3 luglio 2004 “La Stampa” pubblicava un’intervista all’architetto Massimo Crotti, che difendeva la bontà del suo progetto: «Col tempo anche gli scettici capiranno d'aver guadagnato uno spazio che non esisteva», affermava. Col tempo, sì. Sono passati dieci anni, forse per capire le bellezze del piazzale bisogna attendere ancora; ma chissà quanto.

 

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Articolo pubblicato il 26/10/2013