Intervista a Roberto Placido, Vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte
Roberto Placido, Vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte

"I giovani devono uccidere gli anziani, ma non possono aspettarsi che stiano fermi"

Roberto Placido, vicepresidente del consiglio regionale, presenta il volume "Meridionali e Resistenza. Il contributo del Sud alla lotta di Liberazione in Piemonte". Storia, politica e qualche consiglio ai giovani.

Caldo. "Mi scusi, non accendo l'aria condizionata". Roberto Placido ci accoglie così nel suo ufficio in via Alfieri. Seduto sul divanetto elegante, niente scrivania. Maniche di camicia e tablet sul tavolino in marmo. Il tubo dell'inutile condizionatore passa sul davanzale in direzione del vetro. Accanto al tubo un grande pannello di cartone recita: "Articolo 1: L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Dopo i convenevoli, il vicepresidente del Consiglio Regionale, presenta il volume che ha " voluto fortemente".

'Meridionali e Resistenza. Il contributo del Sud alla lotta di Liberazione in Piemonte'.

"Questo è un lavoro che che fa da apripista alle celebrazioni per i settant'anni dalla Liberazione. Rappresenta l'inizio di una ricerca che deve continuare."

Sulla Resistenza è stato scritto tanto. Cosa si vuole aggiungere con questo lavoro?

Prima di tutto si cerca di sfatare molti luoghi comuni, specialmente quello che considera la Resistenza un fenomeno per così dire locale, limitato al Nord della penisola.

Il Nord partigiano e il Sud filofascista.

Esatto, niente di più sbagliato. Tra i 50 mila partigiani attivi in Piemonte circa 7 mila erano meridionali. Una presenza importante. Si pensi che il giorno della Liberazione della città di Torino a portare il tricolore in trionfo è stato Pompeo Colajanni, nome di battaglia Barbato. Era siciliano.

Placido prende il volume. Copertina bianca con titolo alto. Grande foto in bianco e nero con tricolore sgargiante. Gli unici colori del volume. "Le piace? Ho chiesto espressamente che la bandiera fosse colorata".Sfoglia il volume e per ogni pagina c'è un nome.

Quirino Mascia era sardo. Cavallino Bianco. L'hanno ucciso a pian del Lot, sul Colle della Maddalena. Dante Di Nanni era pugliese, c'è una via molto importante a Torino che porta il suo nome. Tanti giovani, avanguardia degli emigrati che nei decenni successivi avrebbero cercato fortuna in città e nell'intero Piemonte.

Torniamo ai luoghi da sfatare, è solo una questione geografica?

No, si vuole riportare la Resistenza nel percorso dei grandi eventi che hanno contribuito a costruire la Nazione. Il Risorgimento, la Grande Guerra. Giovani di ogni provenienza che nel momento del bisogno hanno saputo unirsi in nome dei valori di Democrazia e Libertà. In questo lavoro c'è ben poco di politico e molto di istituzionale. La Resistenza non appartiene a una parte sola, che sia regionale o politica.

A questo proposito, cosa risponde a chi, come Giampaolo Pansa, parla di cifre, per così dire, 'gonfiate' dall'opportunismo?

Penso che ciascuno dovrebbe fare il proprio lavoro. I giornalisti che vogliono riscrivere la storia capita possano unire i fatti alla fantasia. Io tendo a non confondere chi gioca la partita con i semplici tifosi. Inoltre non ci sono dati certi a indicare che nei pressi della vittoria ci sia stata un'esplosione dei numeri.

E per quanto riguarda la definizione di 'Guerra Civile' invece di Resistenza e Liberazione?

Non mi scandalizza. Fra i partigiani non c'era una voce sola e anche in Italia non erano tutti partigiani. C'erano i ragazzi della Repubblica Sociale, anche loro morti per un ideale. Ma non si possono mettere tutti sullo stesso piano. Dobbiamo giudicarli non per essere morti, ma per ciò che hanno fatto da vivi. Ci sono stati sicuramente errori da entrambe le parti, per questo motivo la Resistenza non deve essere di una parte sola. Deve sempre di più essere un valore in cui si rivede la maggior parte delle persone.

E i giovani d'oggi, cosa può insegnare loro la Resistenza?

Prima di tutto, nei grandi momenti della storia nazionale i protagonisti furono i giovani. L'ultimo costituente, Colombo, entrò in Parlamento a 26 anni.

Ci è rimasto per quasi settanta però.

Esatto, purtroppo il Paese costruito dai giovani è ormai inospitale per le nuove generazioni.

Forse perchè i giovani di un tempo sono diventati anziani con il potere e ora stentano a lasciarlo?

Forse, ma ai giovani d'oggi mi sento di dire che le cose non è sufficiente aspettare che siano date. Se le devono prendere. Devono lottare, devono cercare di 'uccidere' gli anziani. Ovviamente non possono aspettarsi che gli anziani stiano inermi.

Una lotta non più di classe ma generazionale?

Ovviamente non fino a questo punto, ma é giusto che le nuove leve ricevano ciò che gli è dovuto non solo perchè sono giovani, ma perchè hanno dimostrato di meritarlo. Insomma: se lo devono guadagnare.

                                                 

                                                                                               Marcello Fadda

 

 

 

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 01/07/2013