Violenza di genere: a Kathmandu autobus per sole donne, ma il problema sta da un’altra parte

Per arginare il problema degli stupri sui mezzi di trasporto pubblico, nella capitale si sperimentano i bus per sole donne, eppure nelle campagne migliaia di ragazze rischiano ogni giorno la vita

Attraversare la strada a Kathmandu è un’attività da pianificare con perizia. Fondamentale la scelta del punto esatto in cui dare avvio all’impresa. I secondi sono decisivi. Basta un battito di palpebre per perdere il corridoio sicuro che si viene a creare tra una moto lanciata alla cieca in mezzo alla polvere, lo school bus con il clacson in perenne attività e la jeep delle Nazioni Unite con le bandierine logore. Perdere quell’attimo può essere fatale, e può costare un’attesa snervante.

Era domenica, 15 febbraio. Stavo sul ciglio della strada, tra la fogna scoperta e la scia di traffico, avevo perso il mio attimo e aspettavo.  Guardavo le auto passare, quando sullo sportello di  un piccolo minibus, strapieno di donne sgargianti, ho letto la scritta in rosa acceso Women-Only.

Ancora domenica, stesso 15 febbraio. L’ora imprecisata, ma le ricostruzioni indicano che tutto è accaduto verso sera. Una ragazza di vent’anni - di cui le autorità non forniscono il nome, la chiameremo Shyla – della Municipalità di Punarbas – 5, tornava a casa da sola dopo una festa di matrimonio.

Otto uomini l’hanno prima bloccata e, dopo averla picchiata brutalmente, l’hanno trascinata nei pressi di un deposito di canne da zucchero. Poi ne hanno abusato sessualmente.

Govinda Rana, trentotto anni, è stato arrestato, insieme ad altre quattro persone, con l’accusa di far parte del branco. Le accuse sono di violenza sessuale, aggravata dallo stupro di gruppo, e tentato omicidio. La polizia continua ad investigare alla ricerca degli altri responsabili, mentre Shyla si trova ricoverata in stato di incoscienza al Seti Zonal Hospital di Kailali.

Eppure, mentre aspettavo di raggiungere l’altro lato della strada, con gli occhi sbarrati e le palpebre immobili, passava un altro autobus stipato di saree e monili d’oro, con la stessa scritta rosa sul fianco.

Nel 2012, il 26% delle donne nepalesi tra i 19 e i 35 è stata vittima di abusi sessuali violenti, per la maggior parte compiuti da branchi di uomini (dati Banca Mondiale, 2013). Secondo il rapporto, l’incidenza principale si ha nelle città. I resoconti più drammatici  riguardano i mezzi pubblici.

Il nuovo servizio di autobus riservati a sole donne, avviato da pochi mesi a Kathmandu, è ancora troppo giovane per poter fornire informazioni sul risultato. I responsabili del servizio, due anziani burocrati in abito tradizionale, si limitano a dichiarare alla stampa che dati certi sulla riuscita del progetto si potranno avere verso la fine dell’estate.

Che la strategia dei minibus Women-Only si riveli un successo lo speriamo tutti, ovviamente. Ma non possiamo comunque dimenticare che, nonostante i dati della Banca Mondiale, la realtà rivela che la stragrande maggioranza degli abusi, tutti non denunciati e spesso più crudeli di quelli riportati dalle medie statistiche, avvengono in ambiente domestico, nelle aree rurali.

Pratima Sah, diciannove anni, della municipalità di Gedahiguthi-2, il 15 maggio dello scorso anno ha sposato Rambiswas Sah, ventisei anni. Come d’usanza, la famiglia di Pratima ha promesso un’importante dote in favore della famiglia di Rambiswas. 350.000 rupie (intorno ai tremila euro), che in città sono sufficienti per comprare  nove motociclette, in campagna qualche ettaro di risaia.

Non sappiamo se in quel 15 maggio Pratima e Rambiswas abbiano coronato un bellissimo sogno d’amore. Possiamo immaginare di no. La denuncia formale depositata presso il Women and Children Service Directorate ( il dipartimento della polizia nepalese che si occupa di violenze domestiche) dall’attivista per i diritti umani Dewaki Nepal, accusa Rambiswas e la sua famiglia di lesioni e tentato omicidio. Non proprio un biglietto romantico.

La famiglia dello sposo, sostenendo che delle 350mila rupie concordate ne siano state versate solo 15mila, per mesi interi ha torturato fisicamente, ma soprattutto psicologicamente, la ragazza.

Mio marito e i miei suoceri mi picchiavano tutti i giorni chiedendo che portassi il resto della dote” ha dichiarato Pratima alla polizia nepalese che ora, fortunatamente, la ha in custodia.

Perché l’ennesima violenza che ha dovuto subire è stata troppo pesante, ed è dovuta scappare.

Sempre il 15 febbraio, sempre in quella domenica in cui aspettavo di attraversare la strada,  Rabinswas ha picchiato bestialmente Pratima. Poi le ha rasato completamente la testa e l’ha portata in giro per il villaggio, umiliandola davanti agli sguardi muti dei compaesani.

L’ispettore Pratit Singh Rathaur, incaricato del caso, ha dichiarato che si sta indagando per approfondire ulteriormente la questione e riuscire a stabilire in via definitiva quanto della dote è stato effettivamente versato dalla famiglia della sposa.

Mentre schivavo la polvere sul lato della strada, in quello snervante lasso di tempo, con sempre le palpebre bloccate, una cinquantina di donne in città viaggiava sicura sui minibus del governo, e quasi contemporaneamente due ragazze di campagna venivano violentate e per poco uccise nel silenzio generale.

Mentre io finalmente toccavo il marcipiede sul lato opposto della Kushibu Link Road, per Shyla e Pratima la vita proseguiva nel modo peggiore. 

 Spero sinceramente che il progetto Women-Only si riveli un successo. Ma credo che il problema si trovi tutto da un’altra parte. 

 

(credit: REUTERS/Navesh Chitrakar)

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Articolo pubblicato il 19/02/2015