Ai piedi delle montagne. L’elefante indiano.

Civico20 è in Asia per raccontare, in un reportage a puntate, la realtà di uno dei paesi più poveri al mondo. E’ la volta dell’Elefante Indiano, i rapporti tra Nepal e India.

Nessun altro paese presenta una politica estera tanto legata alla sua posizione geografica quanto il Nepal.

Compresso tra Cina e India, ricco di risorse naturali, in alcuni momenti più simile ad uno stato settentrionale del gigante indiano che ad un’entità statuale autonoma, ora forzatamente equidistante da ambo le parti ma comunque vincolato ai capricci delle economie più forti dell’Asia.

Con l’indipendenza dell’India nel ’47, la situazione geopolitica nel subcontinente è cambiata rapidamente. La rapidità con cui il tempo cambia con i monsoni e i fiumi d’estate triplicano la loro portata.

Proprio la questione dei fiumi è uno degli argomenti caldi intorno ai quali ruota la politica estera ed economica del Nepal.

I primi incontri risalgono al 1948, anno in cui l’India rinasce con una sua identità dopo secoli di dominio britannico.

La vicinanza culturale con la patria di Gandhi ha favorito l’instaurazione di un rapporto privilegiato favorito dall’invalicabile confine dell’Himalaya e dalla questione tibetana che hanno tenuto lontana la Cina per oltre cinquant’anni.

Il primo documento di intesa tra India e Nepal (Treaty of Peace and Friendship, 1950) oltre che definire la sicurezza interna dei due paesi e il libero transito dei cittadini tra i confini nazionali, stabiliva un rapporto economico preferenziale tra i partner e la possibilità per le aziende nazionali di operare liberamente in ambo i territori.

Il trattato è divenuto motivo del crescente risentimento nei confronti dell’India per i nepalesi, che hanno visto nell’accordo una riduzione della propria sovranità nei confronti di una crescente influenza dell’India negli affari interni del proprio Paese. Influenza fatta valere soprattutto, e come sempre, sul piano degli investimenti economici, fonte di sostentamento essenziale per l’economia nepalese ancora oggi non autosufficiente.

Inoltre, sempre nel 1950 e anni seguenti, India e Nepal si sono avvicinati anche in relazione alla questione degli esuli Tibetani.

Dopo l’invasione cinese in Tibet, con la conseguente fuga di migliaia di rifugiati che dalle pendici nord dell’Himalaya, si sono spostati in quelle a sud, in territorio nepalese, e con il governo tibetano in esilio rifugiato nel nordovest indiano, nei pressi di Delhi, il Nepal ha dovuto scegliere da che parte schierarsi.

L’estrema tolleranza religiosa che caratterizza il popolo e la cultura nepalesi hanno spinto verso un accostamento all’India piuttosto che alla Cina. Ma la nascita del movimento maoista, e la successiva guerra civile che per più di vent’anni ha sconvolto la nazione, hanno ridisegnato lo scontro politico e il sistema delle alleanze, spostando l’asse diplomatico sempre più distante dal liberalismo tribale indiano e vicino al socialismo liberale cinese. Con drammatiche conseguenze per la popolazione tibetana.

Nei primi anni ’90 viene istituita una Joint Commission, cui partecipano esponenti dei governi indiano e nepalese, con il compito di riscrivere i trattati di collaborazione, pace e amicizia di modo che rispettassero le diverse condizioni sociali economiche e politiche dei due partner.

Frutto della commissione è stato il Trade Treaty del 1996 che, - nonostante l’opposizione di alcune forze politiche nepalesi che vedevano nel nuovo trattato l’ennesima legalizzazione dell’ingerenza indiana - combinato con le carte del ’50, ha portato il Mercato di scambio Indo-nepalese a raggiungere i 4.7 miliardi di dollari americani (dati  2014, ministero sviluppo economico indiano), la maggior parte a vantaggio dell’India.

Infatti, se è vero che i due terzi del mercato estero nepalese sono orientati verso l’India, a beneficiare maggiormente di questa condizione sono state le numerose imprese indiane - oltre centocinquanta, presenti in ogni settore (dati 2014, ministero investimenti nepalese) – che risultano essere i più grandi investitori in Nepal.  

Una parte fondamentale della partita che si gioca tra India e Nepal, come detto, è legata allo sfruttamento delle risorse idriche.

Il Nepal, ricco di ghiacciai e corsi d’acqua, presenta un potenziale produttivo di energia idroelettrica  stimato intorno agli 80mila megawatt. Circa la metà risulta attestata come “tecnicamente ed economicamente fruibile”. Lo sfruttamento di queste risorse renderebbe il Nepal uno degli stati più ricchi dell’Asia.

Inoltre, in un paese in cui le interruzioni programmate di corrente oscillano mediamente intorno alle undici ore al giorno, tale disponibilità elettrica potrebbe far decollare l’industria, e quindi l’economia tutta, ancora ancorata all’agricoltura e seguace del terziario.

Non stupisce quindi l’interesse dell’India nei confronti del minuscolo stato montano. Sia per le accennate necessità politiche nella guerra diplomatica con la Cina, sia per la condizione di sfruttamento quasi coloniale da cui trae un enorme guadagno.

Non stupiscono neppure le frequenti visite di esponenti del governo indiano a Kathmandu, lo stesso premier Modhi si è recato in visita in cinque diverse occasioni negli ultimi tre anni, ribadendo costantemente il “rapporto privilegiato, prima di tutto di amicizia e fratellanza,  che esiste e deve esistere tra India e Nepal”.

Ad oggi, queste rimangono le condizioni. Ma la Cina, finora nascosta e distante, in questi ultimi anni ha fatto sentire la sua presenza.

 

 

 

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 16/02/2015