Storia Nepal - Parte III: Ai piedi delle montagne. Viaggio alla scoperta del Nepal

Civico20 vola in Asia per raccontare, in un reportage a puntate, la realtà di uno dei paesi più poveri al mondo

Notte, l’estate è appena cominciata, è il 1 Giugno 2001. La famiglia reale si trova nel palazzo che domina Durbar Square, nel centro di Kathmandu. Il Re Birendra, la regina Aishwarya, la principessa Shruti, il principe Nirajan e altri cinque membri della famiglia vengono sterminati a colpi di fucile dal principe ereditario Dipendra. Le motivazioni ufficiali sarebbero da ricercare in acredini personali: il Re non avrebbe approvato la sposa scelta da Dipendra, e per la frustrazione il principe avrebbe organizzato ed eseguito il massacro.

Le motivazioni ufficiose sono le più disparate. Dall’eterno complotto di CIA e servizi segreti occidentali, alla teoria secondo cui il fratello del re, il principe Gyanendra, avrebbe organizzato il tutto per impadronirsi del trono, cosa poi effettivamente accaduta. Dipendra tentò il suicidio sparandosi un colpo alla gola, rimase in coma qualche giorno, durante il quale venne comunque incoronato sovrano, e quando morì, suo zio Gyanendra divenne re tra le ombre e i segreti di quella notte.

Come per molte storie a noi vicine, anche questa brutta vicenda nepalese rimarrà avvolta nel mistero. Per usare le parole di Manjushree Thapa, una delle più importanti scrittrici nepalesi: “Abbiamo smarrito la verità, abbiamo smarrito la nostra storia. Non ci rimane che raccontare aneddoti e dicerie. Dobbiamo accontentarci dei miti”.

Nei giorni successivi al massacro il popolo nepalese fu sconvolto da una moltitudine di emozioni: sgomento, rabbia, paura, orrore, rifiuto. Fu indetto un lutto di 13 giorni. Quattrocento uomini con la testa rasata percorsero le strade intorno al palazzo reale in motocicletta esibendo immagini del re assassinato. Oltre cinquecentomila persone parteciparono al corteo funebre.  A poco a poco lo shock per la tragedia cedette il passo all’ansia per il futuro.

La situazione politica precipitò. Nel corso di dieci anni vennero spodestati, incarcerati, esiliati e assassinati gli esponenti di nove diversi governi. L’incoronazione di Gyanendra rappresentò una  notevole battuta d’arresto nella via che conduceva lentamente il Nepal verso la democrazia.

Il Re,  autoritario per carattere ed educazione,  sciolse d’imperio il governo e assunse il potere esecutivo. Per prevenire le dimostrazioni limitò la libertà di stampa, impose il coprifuoco con la forza e per un lungo periodo vennero interrotte le linee telefoniche. Furono anni pesanti per il Nepal, soprattutto nelle calde zone del sud e nella capitale.

Tutto cambiò rapidamente nell’aprile del 2006, quando dopo giorni di manifestazioni violente che portarono all’uccisione di 16 dimostranti, il re fu obbligato, dalle circostanze ormai più che esplosive, a ripristinare la democrazia parlamentare.

Il mese successivo, il parlamento appena insediato, votò per relegare il re a mera figura di rappresentanza, privandolo del potere che la dinastia Shah aveva esercitato per oltre duecento anni.  

La proposta di abolizione della monarchia fu il prezzo da pagare per portare i maoisti -  ormai troppo forti per poter essere messi in disparte -  al tavolo delle trattative. Alla fine dell’anno venne firmato un trattato di pace che pose finalmente fine alla violenza durata oltre un decennio.

Il 28 maggio 2008, con 560 voti a favore, e dopo 240 anni, la monarchia nepalese cessava di esistere.

Nel primo governo repubblicano entrarono a far parte i maoisti  con una schiacciante maggioranza. Il primo ministro stesso, Pushpa Kamal Dahal, nome di battaglia Prachanda (fiero), era un ex guerrigliero.

A parte l’ovvio gioco delle parti nella spartizione del potere politico, le questioni più spinose su cui ancora la politica nepalese cerca di accordarsi  vertono sul re-inserimento degli ex combattenti maoisti e sulla natura del sistema federale.

All’inizio del 2013 è stato formato un governo provvisorio guidato dal capo della Corte Suprema di Giustizia con il compito di condurre il paese a nuove elezioni costituenti, le seconde dalla fine della guerra civile.

La tornata elettorale ha registrato la sconfitta del blocco maoista e la netta vittoria del Nepali Congress Party, di ispirazione riformista, vicino alla socialdemocrazia.

Di questi giorni (18 gennaio) la notizia secondo cui il parlamento nepalese dovrebbe approvare entro febbraio la bozza di Costituzione discussa per quasi due anni. Il blocco maoista preme per approvare il documento alla forma attuale, mentre il partito di maggioranza vorrebbe apportare  diverse modifiche per disegnare un Nepal equidistante da Cina e India, in una visione di maggiore neutralità di modo da poter sfruttare economicamente il ruolo di ponte tra le due potenze asiatiche.  

La strada che conduce il Nepal verso una vera Costituzione repubblicana, quindi verso la piena democrazia,  è ancora lontana dalla meta. Contrasti, rendite di posizione e rigidità tribali rendono il percorso lento e difficile. Ma troppo sangue è stato versato in nome della democrazia, e questo i nepalesi non sembrano poterlo dimenticare.

Per questi e altri motivi le prossime elezioni – che leggendo i giornali nepalesi non sembrano troppo lontane – saranno l’ennesimo punto di svolta in cui la nazione più povera dell’Asia cercherà di tracciare la propria identità.

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Articolo pubblicato il 08/02/2015