Je suis Roberto Calderoli

Non a tutti dovrebbe essere concesso di definirsi Charlie Hebdo

Parigi, 7 Gennaio. Una delle parti più difficili dello scrivere riguardo a questo genere di episodi è la tempistica.

Reazioni immediate possono essere corrotte da passioni e stuzzicate dal sentimento di rivalsa.

D’opposto, riflessioni troppo meditate risentono del politicamente corretto che in certe circostanze si attesta su livelli fastidiosamente stucchevoli.

I fatti, per fortuna, permangono in forma neutra, indipendentemente da abbellimenti retorici e florilegi filosofici.

Abbiamo letto e sentito parlare di Libertà d’espressione, letto e sentito chiamare il terrorismo una guerra di religione, letto e sentito dire che si deve resistere alla violenza del fondamentalismo islamico, letto e sentito acclamare una nuova crociata in difesa dei valori occidentali.

Abbiamo scoperto che un po’ tutti nel vecchio mondo si sentono Charlie Hebdo.

Quanti ora stanno stretti l’uno all’altro al grido di “siamo tutti un po’ francesi”, non sono altrettanti che in tempi relativamente passati (in certi casi il passato è quanto di più attuale si possa trovare) hanno detto, ad esempio, “siamo tutti un po’ italiani” quando l’ambasciata italiana in Libia è stata attaccata da una folla di musulmani furiosi.

In quell’occasione Roberto Calderoli – la cui costante presenza nelle cronache più disparate ci consente di evitarne la presentazione – mostrò in diretta televisiva le tanto ingiuriate vignette raffiguranti Il Profeta – pubblicate in prima battuta dal quotidiano danese Jylland-Postens correlate da un forte appello alla difesa della Libertà d’espressione, in risposta all’uccisione di Theo van Gogh (Amsterdam, novembre 2004) – che tanta violenza scatenarono nel mondo islamico integralista.

Tanti di quelli che accusarono Calderoli – offensivo, razzista, irrispettoso, xenofobo, ignorante e tutto il partérre di aggettivi che usualmente farciscono gli articoli di un certo tipo di stampa – ora marciano in prima fila nelle manifestazioni accanto a capi di stato in costante campagna elettorale.

La difesa di ogni Libertà esplode quando questa viene limitata, o minacciata. Ma è quando i tempi sono floridi che l’interesse non è rivolto verso una libera stampa o la libera possibilità d’espressione, quali che siano gli argomenti e gli obbiettivi. In quei tempi sereni e distesi tutti riescono a guardare solamente al proprio giardino, zeppo di appartenenze politiche e campanilismo religiosamente fruttuoso.

Charlie Hebdo è un giornale spesso definito fascista, con una redazione fatta anche di arabi ed ex militanti comunisti. Si è sempre potuto dire di tutto a suo riguardo. E tutto è stato detto, senza che da parte del giornale niente fosse fatto per evitarlo, anzi.

Come Roberto Calderoli. Sempre a caccia della polemica, più o meno condivisibile, mosso da ragioni cui talvolta è davvero difficile aderire.

Come per lui, così per Stephane, Jean, Bernard, Philippe, Georges, Michel, Franck, Ahmed, Bernard, Frederic, Elsa, Moustapha – tutti  schierati in difesa della propria Libertà d’esprimersi, anche se da posizioni incredibilmente distanti – la vicinanza e la solidarietà e il “siamo tutti un po’ qualcuno”, dovrebbero essere la prima e unica reazione, svincolata da convenienze e rendite da posizioni partitiche.

Per questi e per altri motivi può risultare quantomeno arrogante, o presuntuoso, dire ora Je suis Charlie Hebdo se prima non si è detto:  Je suis Roberto Calderoli.

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Articolo pubblicato il 22/01/2015