La religione del Lavoro, in memoria del giudice Chinnici

Il 29 Luglio 1983 moriva Rocco Chinnici, semplicemente un eroe

Rocco Chinnici nasce a Misilmeri, in provincia di Palermo, nel 1925 e nel capoluogo siciliano muore, poco meno di sessant’anni dopo, dilaniato dall’esplosione di una Fiat 126 imbottita di esplosivo parcheggiata davanti all’ingresso della sua abitazione.

In via Pipitone Federico, oltre al giudice Chinnici, muoiono altre tre persone. Il Maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta, e il povero Stefano Li Sacchi, innocente portiere dello stabile.

Il mandante dell’attentato è più che ovvio. Negli anni ’80, in Sicilia, le bombe le metteva solo la Mafia.

Antonio Madonia, killer mafioso, è l’uomo che ha azionato il detonatore, ma il mandante primo è il boss Totò Riina, che in Chinnici vedeva uno dei più grandi avversari di Cosa Nostra.

E’ il 1983. E’ estate. Rocco Chinnici, come ogni mattina, varca il portone di casa scortato dai suoi angeli in borghese. Si ferma un istante per godere della prima luce del mattino e in pochi secondi il boato di un esplosione pone fine alla sua brillante carriera tutta improntata alla lotta contro la criminalità organizzata che in Sicilia rappresenta in quegli anni il vero potere.

Son passati trentuno anni da quella mattina del 29 Luglio 1983 in cui Chinnici ha smesso di contrastare la Mafia con gli insufficienti mezzi giudiziari di cui poteva disporre – non dimentichiamo che il maxi processi di Falcone e Borsellino avrà luogo anni dopo, in quel momento la mafia ancora ufficialmente “non esiste”  - eppure il suo messaggio di legalità ad ogni costo è rimasto nelle coscienze dei giovani che lui stesso cercava di spronare.

Anzi, la sua morte, inaspettata eppure a detta di molti già annunciata, è stata l’innesco per un’altra esplosione. Una deflagrazione delle coscienze civiche dei cittadini che indignati hanno cominciato a conoscere Cosa Nostra e, seppur in pochi casi, a condannarla.

Chinnici diceva: "Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi [...] fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai".

E anche se con la sua vita interamente dedicata alla legalità e al contrasto del fenomeno mafioso non è riuscito a smuovere le coscienze dei cittadini, è stata la sua morte a dimostrare che la lotta alla Mafia non è un hobby, non una bandiera da sventolare per convenienza o tornaconto politico.

La lotta alla mafia è una vocazione, quasi una fede religiosa.

Per Rocco Chinnici lo era. Era una fede, il lavoro di una vita, lo scopo di un esistenza. Per molti è stato un esempio e ora più che mai è necessario che continui ad esserlo.

Chinnici non si è mai piegato alle logiche dell’omertà e della collusione, avendo ben chiara e presente la propria strada e la propria vocazione di magistrato.

Per questo vogliamo ricordarlo. Perché è un eroe, e la sua memoria continuerà ad essere un monito e uno sprone per quanti vogliono ribellarsi ad un sistema malato e criminale.

 

Salutiamo il giudice Rocco Chinnici che – parafrasando Paolo Borsellino – ha fatto del proprio lavoro una religione. 

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Articolo pubblicato il 31/07/2014