La svolta autoritaria di Matteo Renzi

Tra proclami e riforme, l'azione del Presidente del Consiglio avvicina l'Italia al circolo delle democrazie autoritarie

Un aggettivo spesso usato quando si parla di Matteo Renzi è “movimentista”.

Si possono infatti fare molti rilievi sull’operato del Governo, ma sicuramente non si può dire che stia peccando di incisività. Almeno nelle intenzioni.

 

Non ci è mai piaciuto processare le intenzioni, abbiamo sempre preferito fare le pulci ai fatti. Ma in questo caso in cui la penuria di fatti è palese e le intenzioni sono controverse, non possiamo che soffermarci su queste ultime.

 

La mole di riforme renziane è epocale. Nel senso che la totale approvazione di tutte le riforme segnerebbe sicuramente un profondo cambio d’epoca per la società italiana. Una svolta politica e istituzionale, autoritaria a detta di molti.

Perché?

 

Si può solo accennare alla riforma del bicameralismo perfetto, la cosiddetta abolizione del Senato che , se venisse approvata allo stato attuale, ridurrebbe notevolmente il potere e la sovranità dei cittadini.

La trasformazione in camera non elettiva e la riduzione di prerogative e competenze  ne annullerebbero la funzione attuale di organo legislativo riportandola a semplice consultazione.

Se non un vero e proprio autoritarismo, è un passo sulla strada che vi conduce.

 

Un secondo passo lo abbiamo con la riforma dell’istituto referendario.  Se è vero che l’innalzamento del numero di firme necessarie per la presentazione del quesito (da 500mila a 800mila) è bilanciato dall’abbassamento del quorum che ne convalida il risultato (sarebbe il 50% più uno dei votanti all’ultima tornata elettorale), è anche vero che è nei dettagli che si gioca la vera partita.

Al fine di evitare vuoti normativi in materia elettorale, la Costituzione non permette referendum abrogativi che interessino l’intera legge elettorale.

In questa materia è possibile sottoporre a referendum solo i singoli articoli.

 

Questo è il dettaglio rilevante. Perché la riforma del Governo comprende proprio l’abolizione della possibilità di indire un referendum su singoli articoli.

Con l’eventuale entrata in vigore del testo attuale – e al momento non sono previste modifiche – significherebbe eliminare totalmente la possibilità che i cittadini possano esprimersi in maniera diretta sul sistema elettorale.

E se anche questo non può definitivamente farci parlare di svolta autoritaria, è il terzo punto che getta sul tema un dubbio grosso come un macigno.

 

Le riforme renziane si estendono anche al sistema giudiziario. Il premier ha spesso denunciato storture e squilibri presenti nell’organo giudiziario. Per molti si tratta di una vera e propria guerra, ma finora ha assunto più i toni di una guerriglia. Piccole azioni mirate a indebolire e destabilizzare la magistratura. Riduzione degli stipendi, riforma del CSM, riduzione dell’età pensionabile.  Quest’ultimo aspetto è il più inquietante.

 

Si sa che la carriera in magistratura è legata a requisiti di merito e di anzianità. Ne consegue che i più alti gradi – presidente di Cassazione e capi delle procure, per esempio – si raggiungono solo in età avanzata. Perciò abbassare la soglia per la pensione con effetto immediato avrebbe come conseguenza il prepensionamento, quindi la decapitazione, di tutta la classe dirigente giudiziaria. Si dice, a favore, che questo avrebbe un influenza positiva sul turnover. Di contro, l’eventualità che si debba procedere alla nomina dell’intero vertice della magistratura fa il paio con l’elezione di un nuovo CSM che quelle nomine dovrebbe fare.

 

L’attuale Consiglio è nato durante l’ultimo governo Berlusconi. Presenta perciò equilibri scomparsi da tempo dal panorama politico. Secondo gli analisti il prossimo Consiglio presenterà una schiacciante maggioranza renziana. La sola componente laica, cioè eletta dal Parlamento, dovrebbe risultare un monocolore renziano con la sparuta e solitaria presenza di un nome di area grillina. Secondo logica politica ne consegue che i nuovi vertici del potere giudiziario potrebbero essere quasi tutti dell’area vicina al Presidente del Consiglio.

 

Non mettiamo in dubbio che un magistrato tenga la passione politica ben lontana dalla sfera professionale. Ma è pur vero che la magistratura italiana non sempre segue le regole imposte dalla dottrina facendosi talvolta trascinare dal bizzarro sistema italico.

 

Una cosa sarà comunque certa. Il potere di Matteo Renzi – qualora la riforma venisse approvata allo stato attuale – sarebbe pressoché totale.

Capo del più forte partito italiano, privo di una vera opposizione, con in mano il potere esecutivo e l’obbiettivo di dimezzare sostanzialmente quello legislativo in mano al Parlamento. Ha inoltre l’appoggio incondizionato del Capo dello Stato e di grandissima parte dell’opinione pubblica.

Con il controllo, seppur indiretto, sulla magistratura la presa di potere sarà pressoché totale.

Se non si può parlare di autoritarismo ora, non sappiamo quando potremo farlo.

 

 

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Articolo pubblicato il 30/07/2014