Don Giovanni Cocchi
La copertina

“Un uomo provvidenziale che il Signore misericordioso evoca per sopperire alle necessità dei tempi”

Noi Torinesi leggiamo su Google di anniversari di personaggi improbabili e di episodi tutti lontani da noi in senso sia fisico che metafisico. In compenso, dimentichiamo con grande facilità fatti e personaggi torinesi molto più vicini a noi Tra i tanti, è passato inosservato il bicentenario della nascita di un personaggio piemontese che in passato ha avuto un ruolo di un certo rilievo, don Giovanni Cocchi, bella figura di sacerdote dell’Ottocento torinese.

 

Alla dimenticanza di Google, e dei Torinesi, hanno provveduto sia un articolo di Giuseppe Tuninetti, autorevole studioso della Storia della Chiesa contemporanea, intitolato “Il padre dei Santi Sociali”, pubblicato domenica 7 luglio 2013 su “La Voce del Popolo”,  sia un agile libretto del valoroso ricercatore Daniele Bolognini, “Don Giovanni Cocchi fondatore degli Artigianelli” (2013).

 

Giovanni Cocchi nasce a Druento il 2 luglio 1813, in una modestissima famiglia di contadini devoti. Dopo la morte del padre, la madre e Giovanni devono trasferirsi a Torino, in un modesto alloggio presso la parrocchia della SS. Annunziata. Vivono in povertà ed un giorno la mamma deve mandare Giovanni dal parroco a chiedere l’elemosina.

 

Nella triste occasione, il sacerdote nota l’intelligenza del giovanissimo Giovanni che in seguito sente la vocazione religiosa. È ordinato prete nel 1836. Don Cocchi diventa vicecurato nella parrocchia della SS. Annunziata, dove dimostra grande attenzione ai poveri, agli ammalati e agli orfani. Per loro è disposto a privarsi di tutto.

Nel 1839 don Cocchi va a Roma per farsi missionario ma conosce l’oratorio tenuto dai padri di San Filippo Neri, presso la Bocca della Verità, aperto in particolare ai giovani di “civil condizione”. Colpito da quella istituzione e pensando che nulla di simile esisteva a Torino, decide di tornare nella capitale sabauda, nel dicembre del 1839.

 

Si dedica così ai tantissimi ragazzi che girano per le strade, senza istruzione e senza guida.

Nella sua parrocchia, nella zona di Vanchiglia, si trova il famigerato e malsano sobborgo del Moschino, terra di nessuno dove anche la Polizia esita ad entrare. Qui, nel 1840, don Cocchi apre l’oratorio dell’Angelo Custode, il primo della città di Torino. Nel 1841 gli affianca un ospedaletto per anziani miseri e un ritiro per ragazze povere, istituzioni che però hanno breve vita.

 

Il primo oratorio cittadino, invece, persiste e, successivamente è portato in Borgo Vanchiglia, presso una tettoia dove don Cocchi sistema anche una cappella. Le attività sono festive e pensate per gli adolescenti: dopo la Messa e il catechismo, cominciano i giochi e gli esercizi di ginnastica, pratica - per l’epoca - molto innovativa.

Nel frattempo, nel 1844, don Bosco ha fondato l’Oratorio di S. Francesco di Sales e, dopo varie peregrinazioni, è approdato, nell’aprile 1846, a Valdocco presso la tettoia Pinardi.

 

In Torino si parlava dei “ragazzi di don Bosco” e dei “ragazzi di don Cocchi”.

 

Arriva l’anno 1848, con i suoi profondi rivolgimenti politici: sono tempi molto complessi e difficili che comportano tensioni anche fra i sacerdoti, alcuni più propensi all’impegno politico, altri desiderosi di rimanere neutrali. In questo momento emergono le differenti vedute fra don Cocchi e don Bosco: non è solo questione della ginnastica, caldeggiata da don Cocchi, mentre don Bosco è assai meno propenso all’attività fisica. Si tratta dell’interesse per la politica di don Cocchi, che rende inconciliabili le loro idee.

 

Questo impegno politico di don Cocchi emerge nel marzo del 1849, quando alcuni giovani dell’Oratorio dell’Angelo Custode manifestano il proposito di combattere per la causa italiana. In duecento, chiedono e ottengono il permesso di raggiungere la zona di guerra e don Cocchi li accompagna. Partono a piedi e, passando per Chivasso, raggiungono Vercelli, dove odono la notizia della sconfitta di Novara. Sulla strada del ritorno, alcuni contadini li inseguono, scambiandoli per malfattori. Affamati e avviliti, rientrano nottetempo in Torino.

 

A seguito di questa “disavventura”, don Cocchi deve vivere per qualche tempo appartato e l’oratorio viene chiuso fino a quando, don Bosco e don Giovanni Borel, in accordo con don Cocchi, lo riaprono nell’ottobre 1849.

 

Don Cocchi, sempre attento ai problemi dei giovani, il 15 ottobre 1849, inizia a porre le basi per il Collegio degli Artigianelli, ancora presente oggi a Torino in Corso Palestro, che sarà la sua grande opera.

Il Collegio degli Artigianelli e l’Associazione di carità hanno il loro statuto nel 1850.

 

Dopo alcuni spostamenti, nel marzo 1863 trova sistemazione nel palazzo di corso Palestro appositamente costruito. Lo scopo è quello di accogliere, educare cristianamente ed addestrare nel lavoro i ragazzi orfani o comunque privi di mezzi economici. Nei primi tempi impararono un mestiere direttamente nelle botteghe artigiane per divenire calzolai, fabbri, falegnami.

Da qui il nome “Artigianelli” voluto da don Cocchi.

 

Don Cocchi dirige il Collegio fino al 1852. Dal novembre 1866 diviene Rettore degli Artigianelli san Leonardo Murialdo, il quale fin dagli inizi ha collaborato con don Cocchi, tanto che con affetto e venerazione, lo chiamava “il nonno degli Artigianelli”. Don Cocchi sostiene San Leonardo Murialdo nella fondazione della Pia Società di San Giuseppe, oggi nota come Giuseppini del Murialdo.

 

Bisogna ancora ricordare che, nel febbraio 1852, don Cocchi fonda l’Oratorio San Martino, in Borgo Dora, e nel mese di novembre realizza una colonia agricola a Cavoretto, trasferita a Moncucco, nel 1853. Nel 1868 don Cocchi apre a Chieri un istituto per il recupero dei giovani che poi prosegue, dal 1870, per tredici anni, a Bosco Marengo.

Anche da anziano l’attività di don Giovanni appare prodigiosa: è rettore del Santuario della Pace di Albisola Superiore (Savona) dal 1883 al 1889. Anche lì fonda una piccola colonia agricola. Si trasferisce, infine, a Catanzaro dove ha accettato la direzione del seminario, fino al 1892.

 

Tornato a Torino, muore nell’Istituto degli Artigianelli nel Natale 1895. Il 13 maggio 1917, dopo la riesumazione, viene sepolto nella chiesa dell’istituto, dedicata all’Immacolata.

Don Cocchi è oggi poco conosciuto perché, come scrive il suo primo biografo don Eugenio Reffo, teneva nascoste agli uomini le sue opere e le sue virtù, perché gli bastava essere conosciuto da Dio.

 

È di San Leonardo Murialdo la bella definizione di don Cocchi: “Un uomo provvidenziale che il Signore misericordioso evoca per sopperire alle necessità dei tempi”.

 

Anche oggi dovremmo riconoscere maggiormente l’impegno di don Cocchi nel farsi carico dei problemi dei ragazzi della sua epoca, impegno che – come ricorda Daniele Bolognini – qualcuno gli volle rimproverare con queste parole:

 

“Io non comprendo la vostra pazzia di volontariamente assumervi tante cure, tante noie e fastidi per ragazzi che non vi riguardano, mentre potreste rimanervi tranquillo a casa vostra”!

 

Il bicentenario della nascita di don Cocchi, come auspica a ragione don Giuseppe Tuninetti, sia l’occasione per riconoscere l’importante ruolo svolto a Torino da questo “grande prete sociale”, che appare come “collaboratore e ispiratore dei santi torinesi”.

 

Ben vengano quindi libri come questo del ricercatore Daniele Bolognini, ricchi di fatti storici e di documentazione ineccepibile ed alieni da una certa agiografia acritica ed enfatica, per far conoscere e apprezzare personaggi torinesi e piemontesi ingiustamente dimenticati.

 

Daniele Bolognini, “Don Giovanni Cocchi fondatore degli Artigianelli”, Velar, Gorle (BG), Elledici, Torino, 2013, 48 pagine, euro 3,50.

 

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Articolo pubblicato il 20/07/2013