“Lettere dal Brasile” il romanzo di Emanuele Delmiglio

Recensione di Alessandro Mella

Malgrado non sia la prima volta, trovo sempre un po’ difficile scrivere recensioni di volumi di narrativa.

Le ragioni sono molteplici e forse fin troppo evidenti poiché la saggistica consente un’analisi del tema, un pensiero sulle ricerche e conclusioni dell’autore, magari un confronto e così via. Per la narrativa è, appunto, più complesso. Sempre alto è il rischio di svelare qualche dettaglio che magari l’autore vorrebbe che il lettore scoprisse da solo, immerso nelle pagine del libro, attraverso le parole scritte ab origine e sgorgate copiose dalla sua anima, dalle sue dita mosse da sensibilità artistica e moti interiori.

E con le parole è senz’altro abilissimo Emanuele Delmiglio. Molto più di un autore. Egli è soprattutto un uomo dei “libri” a tutto tondo perché scrittore, giornalista ed anche editore. Quindi figura dotata di una viva sensibilità per la carta stampata e, tra l’altro, già autore di importanti raccolte di racconti anche se, in genere, con una spiccata predilezione per il fantasy.

Questa volta Emanuele non ha scritto per diletto, per il piacere di viaggiare negli abissi senza fine della fantascienza dove l’uomo per costruire mondi incredibili in cui rifugiarsi per sfuggire alle follie della realtà.

Egli esplora il mondo dei sentimenti e lo fa attraverso un moto travolgente che lo ha quasi costretto a raccontare questa storia. E non è raro che un uomo, prima o dopo, si trovi a dover fare i conti con le emozioni umane. Per chi scrive, modestamente mi ci diletto anche io, prima o dopo questo appuntamento introspettivo viene. Perché “indagare i sentimenti” impone di guardare un poco a se stessi ed in se stessi. 

Forse è nato anche così “Lettere dal Brasile”, il romanzo che Emanuele Delmiglio ha pubblicato nel 2022.

Iniziamo dall’analisi fisica del volume cosa che raramente nelle recensioni si fa. La copertina si riempie con un’immagine che dice molto nello sguardo dell’uomo con la sua iconica sigaretta ma a dare subito una sensazione positiva è l’avvertirla, al tatto, liscia e rigida quanto basta per pensare: “Evviva, non vedrò gli angoli arricciarsi e sciuparsi”. Che pare una sciocchezza ma per un eccentrico come me costituisce già una prima discriminante. La citata fotografia non è casuale, richiama l’incipit del prologo: «Quando penso a mio padre lo rivedo seduto su una vecchia poltrona di velluto, avvolto da lente spirali di fumo, la sigaretta consumata fino quasi alle dita e lo sguardo indecifrabile perso oltre un punto di fuga che forse è del tutto interiore», ma non solo. Le sigarette sono una costante ricorrente, saranno anche, in un certo senso, arbitro dell’avvenire, loro a decidere di imporre a Franco la via del tramonto.

Ma torniamo all’analisi fisica poiché la carta, candida ma non bianca, è piacevolissima e riempita di frasi, parole e capitoli stampati a caratteri di buona dimensione e gradevoli alla vista. Lo confesso, detesto i volumi con microscritte al limite dell’illeggibile.

E poi? Poi bisogna lasciarsi andare e leggere, esplorare una storia profonda, delicata, struggente a tratti. Che, per evidenti ragioni, non vi racconterò limitandomi a condividere, con voi, quel che autore ed editore hanno concordato di scrivere: «Franco Benedetti è un imprenditore di successo nello scintillante mondo della grafica degli anni Ottanta che vede Verona protagonista a livello mondiale. Ha clienti importanti, una villa, una barca, una Porsche. Ma qualcosa inizia a scricchiolare della sua vita apparentemente perfetta. All’inizio è un’inquietudine, poi una stanchezza, il bisogno di altro. Quando poi la relazione con la moglie si incrina in modo irreparabile, la crisi personale strisciante esplode irrefrenabile e il mondo luccicante, accuratamente costruito negli anni, crolla come un castello di carte.

Mentre assiste impotente al proprio declino, Franco si rifugia nel sogno di fughe impossibili ed è testimone di una relazione bizzarra tra un’artista che non riesce a uscire di casa e un ingegnere chiamato a costruire una diga nel cuore dell’Amazzonia».

Il romanzo scorre, rapisce, trascina, in una lettura piacevole e travolgente ma, a tratti, fa pensare ed impone momenti in cui il lettore deve frenare per riflettere. L’epilogo è struggente, arriva con pensieri e parole forti, piomba sull’animo come un macigno. Ed è magnifico, intenso, umano oltre misura. Potrei spendere fiumi carsici di altre parole ma non farei che scivolare nella tentazione di raccontare e commetterei un errore grave e, soprattutto, una scortesia verso un autore che, questo posso dirvelo, dovete leggere assolutamente.

Perché, e questo è parte dell’efficacia del romanzo, c’è un po’ di Franco in ognuno di noi. Nelle virtù e nei difetti, nelle scelte deprecabili e nel modo tutto suo di viverli quei sentimenti di cui parlavamo. Di percepirli, avvertirli e, alla fine, portarli con sé afferrandoli, idealmente, con un ultimo sorriso, faticoso ma fremente, diretto ad una preziosa scatola rossa. 

Alessandro Mella

Emanuele Delmiglio

Lettere dal Brasile

La Torre dei Venti, 2022

ISBN 9791280053374 - 288 pp.

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Articolo pubblicato il 11/07/2023