Impronte digitali e prova scientifica

La testimonianza a questo riguardo nel processo penale è considerata nel nuovo libro di Andrea Giuliano

Andrea Giuliano, Commissario della Polizia di Stato, dattiloscopista del Gabinetto Interregionale di Polizia Scientifica di Torino, è autore di numerosi testi inerenti allo studio delle impronte digitali. Tra i più recenti ricordiamo “Impronte digitali. Lineamenti di dattiloscopia” (Minerva Medica, Torino, 2014) e “Salvatore Ottolenghi. Le impronte digitali in Polizia scientifica e Medicina legale” (Minerva Medica, Torino, 2018), dedicato al fondatore della Polizia Scientifica italiana.

Giuliano propone ora un suo nuovo testo dal titolo “Impronte digitali e prova scientifica. La testimonianza nel processo penale” (Minerva Medica, Torino, 2022) dichiarando apertamente che «Lo scopo del presente studio è formare un compendio di saperi per il teste chiamato a deporre di fronte a un tribunale avendo egli indicato a chi era imputabile l’impronta rinvenuta sul luogo di un crimine».

Nella Presentazione della sua opera, l’Autore ricorda che la pratica di confronto delle impronte digitali ha due propositi: il primo di conseguire il riconoscimento e il secondo di giungere alla dichiarazione dei risultati ottenuti.

Così, nel primo momento, si determina mentre nel secondo si riferisce.

Queste due situazioni sono strettamente congiunte e ne scaturisce l’interesse non solo per la parte del riconoscimento e attribuzione dell’identità, ma anche per la discussione nell’aula del Tribunale. Identificare un’impronta significa assumersi enormi responsabilità, visto che spesso ne deriva l’incriminazione di una persona che potrebbe finire in prigione.

L’identificazione dell’impronta deve reggere il controesame dell’avvocato difensore dell’accusato e questo momento dà luogo a una vera e propria contesa. A questo proposito, Giuliano sottolinea che la persona che conduce il controesame dev’essere preparata, tanto che all’estero è nata una vera e propria disciplina di studio che prevede sedute di controinterrogatorio.

Per il dattiloscopista sono importanti le capacità di analizzare le impronte, ma altrettanto quelle di esporre in modo convincente l’attività condotta e di saper replicare adeguatamente alle domande.

Le impronte digitali sono il tratto di riconoscimento per eccellenza; la loro applicazione rappresenta il più diffuso sistema di identificazione personale, utilizzabile in qualunque età della vita e nei confronti di tutti, gemelli compresi, i quali hanno anch’essi impronte diverse. Non c’è metodica da dirsi altrettanto pratica nel dare nome a una traccia reperita sul luogo del reato.

In passato, scrive Giuliano, questa fama precedeva il dattiloscopista come testimone al processo «proteggendolo con un’aureola di scienza ammantata per “certa”». La situazione appare mutata perché, come prosegue l’Autore, «oggi la prova delle impronte vive un profondo contrasto culturale e metodologico alla luce delle denunce che a livello internazionale hanno sfiduciato il mezzo». Queste considerazioni nascono dal fatto che giudici statunitensi, in alcune sentenze, hanno sminuito, contradetto se non disconosciuto il valore probatorio delle impronte digitali.

Se ne sono occupate importanti riviste come Nature, qualificate pubblicazioni e prestigiose associazioni scientifiche. Assume particolare peso in tal senso la tragica sconfessione della relazione tecnica dell’FBI per l’attentato di Madrid (11 marzo 2004) che ha portato ad accusare un innocente di una strage terroristica. Queste voci critiche agitano le tribune internazionali e si diffondono anche in Italia. Oggi il sistema giudiziario esige una professionalità i cui lineamenti costituiscono un dibattito di attualità nell’ambito delle scienze forensi. È sempre maggiore il livello di preparazione che dev’essere dimostrato nelle aule di Tribunale e assumono particolare rilevanza i processi di accreditamento che focalizzano la competenza e l’aggiornamento del dattiloscopista più che la mera esperienza.

Da tutte queste considerazioni prende origine “Impronte digitali e prova scientifica. La testimonianza nel processo penale”, testo tecnico squisitamente schematico, con contenuti strutturati secondo parti, capitoli e paragrafi. Sono molto numerose le note a piè di pagina con i dati bibliografici, commenti e approfondimenti a complemento dell’opera.

Esaminiamo ora l’Indice:

La Parte 1 - Della Materia e del riconoscimento, considera i fondamenti del processo di riconoscimento cogliendo la sfera tecnica (la sua esecuzione), la sfera decisionale (la logica decisoria di chi risolve un confronto tra impronte) e la sfera probatoria (il valore assunto in giudizio);

La Parte 2 - Degli attributi di competenza e validità, considera il grado di qualità atteso nelle aule di giustizia esaminando gli attributi di competenza di colui che esegue i confronti (chi giunge al risultato) e gli attributi di validità della materia (metodica utilizzata per giungere al risultato);

La Parte 3 - Del processo penale e della prova scientifica, considera il meccanismo giuridico, attraverso prove, per determinare la colpevolezza o l’estraneità di una persona imputata di un reato. Passa dai principi a talune questioni che rilevano una coesistenza a tratti difficile tra legge e scienza;

La Parte 4 - Della comparizione nell’aula di udienza, considera il momento dell’escussione del teste che si inserisce nel contendere delle parti. Sono indicati i caratteri di professionalità e la condotta verbale più opportuna nel rispondere al difensore. Vengono inoltre focalizzate le tecniche di controesame ed è esposto un elenco di cento quesiti inerenti domande della difesa, talora provocatorie, relative alla materia e al dattiloscopista come teste.

Come ricorda l’Autore, a distanza di tempo, dopo che i risultati sono trasmessi all’Autorità giudiziaria, dopo che è stata applicata, ad esempio, una misura cautelare, giunge un atto che fissa il giorno per rispondere circa le conclusioni raggiunte, in un clima di sostenuta contrapposizione con la difesa, quasi sempre in pubblico. Questo, per molti specialisti, rappresenta il momento della “resa dei conti” e quello durante il quale può scoprirsi che una semplice conferma di identità ora è l’elemento critico del processo;

Parte 5 - Dell’élite, dei percorsi e delle prospettive, considera temi di contorno e opportunità da cogliere con sguardo rivolto all’impiego in un prossimo futuro della dattiloscopia, focalizzandosi sul progresso della disciplina in un’ottica di sempre maggior preparazione e certezza del risultato.

Questo capitolo, che costituisce la pars construens del volume, si conclude con la condivisibile affermazione che «Resta poi congiunto l’intimo auspicio che la obiettività sempre sovvenga al formalismo».

Va riconosciuto all’Autore l’impegno profuso affinché la dattiloscopia possa vieppiù fornire, all’interno di un complesso quadro investigativo, un contributo sempre più preciso e sicuro per il conseguimento della verità processuale.

Impegno che appare sottolineato dall’occhiello di apertura, ripreso dall’Introduzione del Manuale di Medicina Legale (1937) dell’insigne professor Mario Carrara:

«C’è veramente da tremar sotto il peso di codesta enorme responsabilità tecnica e giudiziale che viene a gravare sul giudizio».

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Articolo pubblicato il 12/02/2023