"La Rivolta. Bronte 1860" di Lucy Riall - Parte 2

La rivolta di Bronte contro i Garibaldini

Per comprendere come si è arrivati alla rivolta, ai fatti di Bronte dell'agosto del 1860, Lucy Riall dal II al IV capitolo entra nell'intrigato processo della storia amministrativa del territorio Brontese, partendo dal dono del territorio della Ducea che i Borboni hanno fatto all'ammiraglio Nelson nel 1799. Qui iniziano gli intrecci sociali, economici e politici, tra proprietari di terre, contadini, affittuari di terre, e pastori. E poi le intrigate storie degli eredi di Nelson, le continue tensioni di questi nobili inglesi con le confinanti popolazioni. In questi capitoli, la scrittrice irlandese si dilunga nell'estenuante lotta, nella contesa giuridica prima tra l'Ospedale Nuovo di Palermo con i brontesi e dopo con la stessa Ducea. In questi capitoli, è un ripetersi di nomi inglesi e locali. Sono i protagonisti della storia: a cominciare dai Nelson, da Horatio a tutti i suoi discendenti, fino ad Alec, i Thovez, i Bridport. E poi i brontesi a partire dai Lombardo, i Meli, i Minissale, gli Spedalieri, i Sanfilippo, Saitta.

 

«Schiere di avvocati – scrive la Riall - passarono al setaccio gli archivi nel tentativo di dimostrare che l'ospedale, imponendo i propri diritti feudali, aveva violato l'autonomia di cui la città aveva a lungo goduto nella sua storia».

Quando subentrarono gli inglesi con la Ducea donata a Nelson, quelli dell'Ospedale furono contenti di cedere la proprietà in cambio di una rendita annua.

La storia è complicata, si racconta di innumerevoli cause, di conflitti personali e familiari. Di lotte contro l'oppressione feudale, l'usurpazione delle proprietà, di diritti alle terre, ai boschi. Per tre decenni per accertare i diritti sui territori si tenne impegnati esperti, periti e poi le innumerevoli spese legali. «Per quanto sia gli inglesi sia i brontesi venissero gradualmente trasformati da tale contatto, il principale effetto della loro vita in comune fu quello di accentuare la loro divisione in due campi reciprocamente ostili».

 

Pertanto, per la Riall, «non dovrebbe sorprendere che gli inglesi detestassero l'area o comunque la considerassero un mondo arretrato, non civilizzato, né d'altra parte possiamo stupirci che i brontesi trattassero la loro comparsa alla stregua di un'indesiderata invasione straniera». Nonostante tutto questo, la scrittrice irlandese è convinta che i problemi di Bronte sono quelli tipici della zona del latifondo meridionale.

Trattando della rivoluzione del 1848 in Sicilia, nel capitolo V, l'autrice de La Rivolta, scrive che a prima vista si è tentati di individuare la causa delle vicende di Bronte nella lotta tra le fazioni degli inglesi e dei brontesi. «Sembrerebbe la spiegazione più plausibile», scrive Riall. Certamente c'era in atto uno scontro, difficile negarlo, la ducea non era animata da amicizia nei confronti dei contadini. E queste due fazioni si diedero molto da fare per accentuare la spaccatura.

 

I rapporti degli amministratori inglesi con i brontesi, comunque, non erano idilliaci.

 

Si nota facilmente nelle «lettere scritte al duca sono permeate di un misto di paura, odio e disprezzo, sentimenti ampiamente ricambiati dai brontesi. Non poche erano le denunce relative alle minacce subite da parte dei cittadini dl 7 luglio del 1825, ad esempio, Mr. Thovez scriveva al duca William Nelson informandolo «dei grandi saccheggi commessi dai brontesi nei boschi». Anche il procuratore Barrett - che amministrò la ducea per un anno (1817-1818) - fu costretto più volte ad allontanarsi dal comune per mettersi in salvo assieme alla sua famiglia. In una sua lettera al duca del 1818, faceva riferimento ad una «cospirazione volta alla distruzione mia e della mia famiglia, di un assalto durante la notte» e che lo spingeva a mettersi in contatto con Palermo visto che «non mi aspettavo assistenza a Bronte».

 

La paura era il sentimento più ricorrente nei confronti del popolo brontese. Ecco cos’altro diceva Thovez al duca: «è orribile essere obbligati a vivere tra selvaggi perché la vita di uno non è mai al sicuro tra loro». «Ciò nonostante, l'asprezza della lotta fra la ducea e i brontesi e il linguaggio di classe che essa generò nascondono una scomoda realtà. In effetti la questione era più complessa: la ducea si trovava coinvolta in uno scontro con l'élite locale, ma a Bronte era in atto anche una lotta tra famiglie rivali, e alcune di esse sobillarono i contadini, che erano fortemente determinati ad affermare i loro diritti di proprietà sulle terre. Era poi in corso un conflitto sull'uso della terra, che vedeva contrapporsi i coltivatori ai pastori e a quanti vivevano sfruttando le risorse dei boschi. A Bronte, i conflitti personali, di fazione, economici e di classe esplosero tutti nello stesso momento: la lotta fra i britannici e il comune continuò, mentre si determinò un nuovo conflitto interno all'amministrazione locale, che coinvolse almeno un esponente britannico».

 

La Riall insiste, quello che successe a Bronte il 1agosto 1860: «fu una tragedia, ma la colpa di quello che avvenne non fu né di Bixio né degli inglesi». Nel corso degli eventi di agosto, «gli inglesi di Bronte furono spettatori […] Un ruolo molto più centrale per la lotta tra le fazioni ebbe la rivalità per il controllo dell'amministrazione tra due gruppi locali, uno dei quali capeggiato da Meli, l'altro da Lombardo».

Secondo Riall, «dietro i conflitti di Bronte vi fu più probabilmente la battaglia tra le due fazioni cittadine per gli impieghi, le proprietà e le posizioni politicamente influenti, e non lo scontro tra potere feudale straniero e una popolazione locale inquieta». Infatti, il vero obiettivo delle violenze furono notai, contabili, esattori di canoni d’affitto, proprietari terrieri di Bronte, ossia quel potere cittadino che, pur dichiarandosi liberale, alleato di Garibaldi e favorevole alle terre per tutti, in realtà tutelava esclusivamente il proprio interesse patrimoniale e le proprie ambizioni di potere.

 

La violenza era stata provocata da «antichi rancori - si legge nelle Relazioni - contro una casta di ambiziosi civili, i quali avevano utilizzato la gestione degli affari pubblici per trarne vantaggi personali: Bronte aspettava che il nuovo Governo, li liberasse da questi esseri, ma al vederli di nuovo tracotanti, irruppe il popolo e successero gli eccidi».

Sostanzialmente quello che è successo a Bronte nel 1860, anticipò il futuro dell'Italia unita. Anche se per la Riall le molte deficienze economiche riscontrate col nuovo Governo italiano erano presenti anche prima. Certamente i moderati sottovalutarono la gravità della crisi delle Due Sicilie. A cominciare da Cavour non sapeva nulla del Sud. D. Mack Smith ha scritto: «voler agire su un paese senza averlo neppure veduto, è questo un problema che nessun gran talento basta a risolvere».

 

La Riall scrive che il Governo liberale nel trattare la popolazione si mostrò in modo autoritario, io direi repressivo, visto l'attuazione della Legge Pica, i 120.000 uomini mandati al Sud per reprimere il cosiddetto brigantaggio.

Costantino Nigra, segretario generale del Governatore delle province meridionali, nel 1861, scriveva a Cavour: «Ecco in qual bolgia mi ha mandato». E poi elencava i nemici: «il clero nemico; i garibaldini malcontenti, irritati, affamati […] l'aristocrazia, avversa [...]il popolo […] instabile, ozioso e ignorante, pochi carabinieri e poca forza nelle provincie e un'amministrazione corrottissima da capo a fondo». Massimo D'Azeglio rincarava, nel Sud, «ci vogliono, e sembra che ciò non basti per contenere il regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti e non briganti, niuno vuol saperne […] so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni, e che al di là sono necessari». La questione era che mancava il consenso della popolazione meridionale.

Pertanto, per la Riall, com'era avvenuto per Bronte nel 1860, il ricorso all'esercito per controllare le campagne meridionali, non rappresentava certamente «una dimostrazione di forza militare, quanto semmai un'ammissione di debolezza politica». Il Paese era spaccato in due, così Carlo Farini da Napoli, poteva gridare: «Che barbarie! Altro che Italia! Questa e Affrica: i beduini, a riscontro di questi cafoni, son fior di virtù civile». E poi ancora nel 1863, Bixio scrisse: «[...] Questo insomma è un paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Affrica a farsi civili». Infine, D'Azeglio affermava che la prospettiva di «una fusione coi napoletani», sarebbe stato «come mettersi a letto con un vaiuoloso».

Ritornando a Bronte e concludo, «quello che era avvenuto a Bronte negli anni Quaranta e Cinquanta si ripetè dopo l'Unità e anche in seguito. Come in passato, l'élite locale approfittò della legislazione governativa mirante a favorire i contadini per rafforzare le sue proprietà o confermare gli affitti di cui già usufruiva […] Ovunque, in Sicilia, coloro che avevano avuto incarichi pubblici sotto i Borboni rimasero all'interno dell'amministrazione governativa».

 

Peraltro, nell'inchiesta dei due politici toscani, Franchetti e Sonnino si dimostrava che le riforme agrarie non avevano prodotto miglioramenti sostanziali per i contadini. «La squilibrata distribuzione della proprietà, affermavano gli autori, era ancora la principale causa della povertà e del malcontento popolare nella regione, e la base del diffuso sistema di potere imperniato sul clientelismo politico e sulla corruzione».

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 15/12/2021