Lucy Riall: Garibaldi, l'invenzione di un eroe - Parte1

Una vasta bibliografia sostenuta da un vasto supporto di studiosi

Nel 2007 in occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) sono state pubblicate numerose biografie sul personaggio. Di notevole interesse è certamente quella della professoressa inglese Lucy Riall, dal titolo accattivante: «Garibaldi. L'invenzione di un eroe», l'opera è stata riedita da Editori Laterza (2017)

Il testo di ben 608 pagine suddiviso in XII capitoli, è coronato da una vasta bibliografia, ma soprattutto come la stessa professoressa inglese scrive nella presentazione, è sostenuto da un vasto supporto di studiosi, che per certi versi hanno contribuito alla nascita del poderoso volume. La Riall segue la nascita e la formazione del mito garibaldino. Un mito che è stato studiato a tavolino, costruito ad arte, anche se su avvenimenti autentici. Garibaldi alla fine diventa protagonista di una «religione civile», che avrebbe alimentato la rivoluzione italiana.

 

La tesi centrale dell’opera è che «[...] la celebrità di Garibaldi fu il risultato di una precisa strategia politica e retorica» (p. XXVII) e, più specificamente, che il suo culto «[...] fu in realtà concepito, costruito e divulgato con cura, e il suo scopo fu di sostenere, promuovere e giustificare un processo di violento e rapido mutamento di regime» (p. 324); inoltre, dopo la sua morte questo culto venne ufficializzato nel tentativo «[...] di trasformare il Risorgimento in un »luogo della memoria» e di dare agli italiani una educazione politica che avrebbe dovuto contrastare la tradizionale fedeltà nei confronti degli insegnamenti della Chiesa cattolica e degli antichi regimi» (pp. XIV-XV).

Nell'introduzione la Riall sottolinea che la figura del nizzardo è diventata simbolo dell'Italia laica è viene celebrata a tutti i livelli, non c'è città o paesino sperduto che non ha una via o una piazza intitolata a suo nome. Per non parlare dei monumenti o delle lapidi per onorare il luogo nel quale era passato, dove aveva dormito, combattuto, pensato e parlato. Il tutto per conservarne la memoria a beneficio delle generazioni futuro. A questo proposito qualche anno fa mi è capitato di polemizzare con l'installazione di una lapide dedicata a Garibaldi presso Capo Sant'Alessio nel messinese.

 

Negli anni il culto di Garibaldi si manifesta nel proliferare di opuscoli patriottici, calendari, cartoline postali, figurine. Naturalmente sono uscite numerose biografie di rilevante valore, memorie personali, opere poetiche e teatrali. Furono in molti a mantenere vivo il «garibaldinismo», sia da destra che da sinistra. In particolare nella prima guerra mondiale, per l'emergere del nuovo e agguerrito nazionalismo, la Riall accenna allo scrittore e attivista politico Gabriele D'Annunzio. Garibaldi diventa un eroe futurista, un «Onnipotente Duce», che gli italiani dovevano guardare al suo esempio patriottico per sacrificarsi alla causa nazionale.

Naturalmente di Garibaldi se ne appropriano i fascisti, ma anche per i comunisti, la figura di Garibaldi diventa un simbolo di liberazione popolare.Vediamo le «Brigate Garibaldi» dei comunisti, combattere sia in Spagna che nella guerra civile in Italia.

 

Ai nostri giorni la figura di Garibaldi, anche se di natura diversa, qualcuno arriva ad accostarla al comandante Ernesto «Che» Guevara. Ma la Riall accenna anche agli anni Ottanta del secolo scorso, dove l'eroe dei due mondi, viene riabilitato, prima da parte del repubblicano Giovanni Spadolini e poi dal socialista Bettino Craxi.

Tra i tanti storici che si sono occupati di Garibaldi, la Riall, fa riferimento ad Alberto Banti, il quale  ha messo in luce l’esistenza di un «canone» risorgimentale che attraverso romanzi, poesie, dipinti e opere liriche ha generato un repertorio di simboli, metafore e immagini popolari; questi hanno prima innescato un significativo mutamento culturale e politico e poi prodotto una narrazione dell’unificazione italiana in termini eroici, non solo conquistando l’interesse di molti contemporanei ma anche ostacolando una riconsiderazione critica del processo risorgimentale, sia in Italia che all’estero.

Il mito — risultato di un complesso sforzo propagandistico volto a presentare la lotta dei «patrioti» come la fase ultima della storia nazionale italiana —«[...] poté essere frutto di una rappresentazione erronea, di un’illusione, o una vera e propria falsità, ma aveva un’innegabile forza retorica e mobilitante, cosa che almeno in parte era l’effetto di un’accurata strategia politica. Di fatto, questa strategia politica ebbe un tale successo che ancora oggi condiziona il nostro modo di comprendere e di rapportarci al Risorgimento e ai suoi protagonisti» (p. XXVIII).

 

Nel libro la scrittrice inglese intende « proporre una prospettiva diversa sia dall'agiografia delle storie tradizionali che dall'approccio riduttivo della più recente ricerca su Garibaldi. Così, piuttosto che celebrare o ridimensionare il culto eroico per Garibaldi, questo studio affronta direttamente il culto stesso e le sue manifestazioni. Lo scopo che mi sono prefissata è di indagare quali siano state le motivazioni politiche che hanno portato alla sua creazione, il messaggio politico da esso incarnato e reso popolare, e le forme della sua rappresentazione pubblica». (p. XXXI)

Sostanzialmente alla Riall interessa «Garibaldi in quanto simbolo del nazionalismo rivoluzionario piuttosto che il Garibaldi postumo, divenuto simbolo ufficiale dello Stato italiano». Inoltre la scrittrice inglese prende in considerazione l'immagine che il mondo ha avuto di Garibaldi, grazie alla stampa di Londra, Parigi, Berlino, New York. In particolare viene messa in risalto l'esperienza siciliana (dal maggio all'ottobre 1860), peraltro in questo periodo egli si trovò al potere, e «fu anche senza dubbio il momento culminante della sua fama in patria e all'estero».

 

La nascita della fama di Garibaldi fu il risultato di una deliberata strategia concepita da Mazzini e appoggiata entusiasticamente dai suoi seguaci, compreso lo stesso Garibaldi.

In Italia i capi del movimento rivoluzionario riescono a formare un’opinione pubblica radicale senza avere il controllo del governo o di un partito politico moderno, allora inesistente, utilizzando le nuove tecniche di comunicazione — non ultima la letteratura romantica popolare, destinata in quegli anni al successo commerciale grazie alla sua economicità, accessibilità e standardizzazione —, che creavano e trasmettevano a un grande pubblico una serie di temi-chiave, fra cui quello dell’eroe pronto a sacrificare la propria vita per la libertà e la giustizia: «[...] questo italiano idealizzato, questo eroe audace, virile e onorevole, sembra trovare un suo preciso corrispettivo nella figura di Garibaldi» (p. 13). Il suo carisma fu anche il prodotto di una rielaborazione artificiale, ma corrispondeva alle reali caratteristiche dell’uomo e alle aspettative del pubblico. In questo periodo, Garibaldi diventa un «segno», un «simbolo», nonostante la cattiva fama acquistata negli anni sudamericani (1836-1847).

 

Pertanto, «Nella struttura narrativa e nel ricorso a temi familiari possiamo quindi vedere la creazione di una storia di Garibaldi e della sua legione che ricorda quelle narrate da romanzi, poesie e dipinti popolari, e allo stesso tempo aspira a tracciare una storia fondativa di più ampia portata, sulle cui basi possa sorgere la nuova società italiana» (p. 53). Scrive la Riall, a proposito di Garibaldi: «La sua vita diventò importante per ciò che poteva simboleggiare e per l'immaginazione che era in grado di suscitare, almeno quanto lo era per ciò che poteva  concretamente realizzare» (53).Tuttavia, «La promozione di Garibaldi a eroe nazionale negli anni Quaranta dell’Ottocento deve essere vista come parte di un processo di lotta politica mirante a rendere popolare una specifica visione della comunità nazionale, incarnandola in un personaggio» (p. 66).

 

La scrittrice inglese nel III cap. precisa che il culto a Garibaldi si inserisce in una vasta tradizione di figure eroiche e di culto dell'eroismo. L'epoca della rivoluzione francese che aveva cancellato la monarchia e la figura del re, ora i nuovi giacobini avevano bisogno di eroi. Vengono presi dall'antichità, ma anche all'epoca medievale.

L'esperienza della Repubblica Romana, nel 1849, rappresenta la seconda tappa nella costruzione del mito: le «rappresentazioni» di cui l’«eroe» si rende protagonista in quei mesi non sono quasi mai improvvisate, i discorsi sono scritti con grande attenzione e spesso dati subito alle stampe, viene curata anche l’eccentricità degli abiti e dei comportamenti, attirando l’attenzione degli osservatori e dei primi inviati speciali. Il primo obbiettivo di questa strategia era di reclutare volontari pronti a combattere con dedizione e coraggio e d’incitare le donne a persuadere i loro uomini in tal senso, il secondo quello di coinvolgere un pubblico di lettori più ampio.

Roma per i rivoluzionari aveva «un significato mistico», era una sfida politica da affrontare. «In quanto capitale del cattolicesimo essa esercitava un fascino simbolico senza confronti [...]» (p.80).

 

Anche a Roma l'attività militare di Garibaldi viene presentata come un susseguirsi di atti di coraggio in battaglia, con una serie «di quadri dal carattere quasi teatrale: il suo aspetto selvaggio e appassionato in battaglia, i successivi momenti di svago, i suoi affascinanti compagni, i suoi interventi pubblici nei momenti cruciali della lotta» (p.93)I giornalisti accorrono per vederlo combattere, ma anche i pittori, pare che lo «Illustrated London News», ha pagato un pittore, per ritrarre il comandante con i suoi uomini e dipingere scene di guerra. E qui viene descritto l'aspetto fisico di Garibaldi e soprattutto com'era vestito. «Garibaldi appare giovane , passionale, con abiti ampi e dai colori sgargianti. E' forte e fiero, si accampa 'come un indiano', è abbronzato e suda. Il suo aspetto […] è quello di un eroe del Medioevo; e i suoi discorsi esaltano la violenza e il coraggio, fanno anche riferimento a tematiche erotiche e amorose. I garibaldini sono poco disciplinati, fra essi vi sono figure energiche di donne e un ex schiavo di colore, e quando lasciano Roma appaiono 'belli', 'romantici' e 'tristi'». (p. 102)

 

In questo contesto, la morte della brasiliana Anita Ribeiro da Silva (1821 ca-1849) — prima di tre mogli e madre di quattro degli otto figli riconosciuti da Garibaldi — conferisce anche una dimensione sentimentale a un mito altrimenti fondato unicamente sulla guerra e sull’avventura. In questo periodo da segnalare la biografia che scrisse un amico e sostenitore di Garibaldi, Giovanni Battista Cuneo, naturalmente scritta, vissuta come un intervento politico, per creare il mito della rivoluzione romana e di Garibaldi. La biografia di Cuneo è uno straordinario esempio di fusione della politica con la letteratura popolare. Viene costruita, «in modo tale che la vita immaginaria potenzi il fascino di quella vera. Garibaldi stesso è in parte un coraggioso capo politico, in parte un affascinante eroe romantico». (p. 172).

 

Continua.

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Articolo pubblicato il 12/11/2021