Prima il Virus, poi il Governo Conte hanno dato il colpo di grazia alla scuola italiana - Parte 2

Il testo della professoressa Paola Mastrocola ha l'intento di provocare

Il testo della professoressa Paola Mastrocola, ha l'intento di provocare. Peraltro la professoressa è consapevole che molti suoi colleghi, ma soprattutto i vari pensatori, scrittori di cose scolastiche o magari i cosiddetti “saggi” del ministero condividono poco le sue riflessioni sulla scuola.

Nel suo studio la Mastrocola in particolare, cita tre libri che sponsorizzano per la scuola e per l'intera società un futuro meraviglioso, sono scritti da Raffaele Simone, Francesco Antonucci e Alessandro Baricco.

Che cosa dicono “il mondo è cambiato e cambierà sempre di più, e così serviranno sempre di meno, le parole. Grazie al Progresso, ai giovani non servirà più studiare, parlare, scrivere, leggere. Altro che poesie di Petrarca, Torquato Tasso e latino! Ci serve un'altra scuola, nuova, diversa moderna, al passo coi tempi”.

 

Secondo questi signori, la scuola è vecchia, perché si basa sui soliti e tradizionali modi di apprendimento. Invece occorre imparare facendo e non studiando. Niente più studio sui libri, lezioni frontali, compiti in classe, interrogazioni, correzioni di compiti. Pertanto se i giovani non sanno più parlare è perché “il mondo si sta avviando verso un'era afasica dove il linguaggio non sarà più verbale; e se non studiano più, è solo perché sanno apprendere in altri modi, più sensoriali ed esperienziali: non hanno bisogno di leggere libri né di trattenerli nella mente, perché adesso imparano vedendo, toccando, vivendo".
 

Il testo della Mastrocola, a volte, ha dei passaggi politicamente scorretti, soprattutto quando fa riferimento ai mass media, in particolare alla televisione, tutti svolgono un ruolo diseducativo. Non condivide gli interventi a tutti i costi, dove tutti devono parlare ed esprimere la propria opinione. Nessuno si chiede se quel che sta per dire abbia un senso o una sua ragione per essere detto. Con questo modo di fare non si comprende chi è competente e chi ha autorevolezza per parlare.
Se poi questo ragionamento, lo spostiamo sulla scuola, possiamo vedere come oltre all'autorevolezza si è persa anche la soggezione, abbiamo pensato che fosse un male, “così abbiamo abbassato persone, luoghi e oggetti. I superiori sono diventati nostri pari, e così ci siamo adoperati perché certi luoghi perdessero la loro connaturata sacralità”.

 

Così a scuola, per esempio, siamo scesi dalla cattedra, a dare del tu agli allievi e a mettere i banchi in cerchio, in modo che non ci fosse un superiore e degli inferiori. Addirittura qualcuno degli esperti futuristi affermano che quanto prima non ci sarà più la cattedra e neanche la classe, tutti navigheranno liberi nello spazio.
La prof di Torino non ha paura di schierarsi, lo fa senza moderazione, in particolare, critica il cosiddetto donmilanismo e il Rodarismo, presente nella scuola italiana. In particolare difende il concetto di nozionismo, che invece cercavano di demonizzare quelle maestre elementari di Napoli incontrate in un convegno.

Non è un peccato avere nozioni, sentenzia Mastrocola, “anzi dovrebbe essere necessario per qualsiasi mestiere, anche per l'insegnante. La scuola dovrebbe insegnare nozioni: dovrebbe condurre alla conoscenza, a che altro se no?”
 

Purtroppo la parola ”nozionismo, è stata travolta da una valanga che si chiamò Sessantotto e che la sotterrò per sempre, riservandole solo odio e disprezzo. Ancora oggi - scrive la Mastrocola -, nozionismo, è una parola brutta, infame, vergognosa”. Forse per questo chi si occupa di nozioni, come i professori, i maestri, sono considerati, come gli ultimi della terra.

La Mastrocola fa un’ampia critica di don Milani e Gianni Rodari, per molti insegnanti, i loro libri, sono diventati come delle bibbie da seguire ciecamente. "Ne è nato una specie di grosso pensiero collettivo identitario comune, un pensiero in cui un folto gruppo di persone politicamente affini si è alla fine totalmente riconosciuto".

 

Sostanzialmente le teorie espresse dai due autori in Lettera a una professoressa”, del 1967 e ne “La Grammatica della fantasia” del 1973, hanno preso piede in quasi tutte le scuole.
Intanto per la Mastrocola, è tutto da dimostrare che don Milani voleva una scuola senza nozioni. “Nelle sue classi si studiava eccome”. Don Milani, "semplicemente voleva una scuola che non escludesse dall'istruzione i ragazzi meno fortunati, quelli che per origini famigliari non possedevano gli strumenti per farcela. Giustissimo. Fu una grande scuola, la sua. Che forse poteva fare solo lui in quel modo”.

Comunque sia, il libro di don Milani viene subito sposato dalla“protesta studentesca e l'ideologia comunista e cattolica di tanti insegnanti, contrari all'idea di selezione e di nozionismo fine a se stesso. Si è pensato di “abbattere la scuola severa e classista di stampo gentiliano, - scrive Mastrocola - ingiustamente riservata ai soli figli di papà e destinata a formare le classi dirigenti del futuro". Ma abolire l’Eneide, i classici, la grammatica, il latino, “significa, lasciare le persone come sono”.

 

In questo modo, inevitabilmente la cultura si abbassa, è “quello che è stato fatto in questi anni dopo il sessantotto, così invece di aiutare i più deboli, li hanno penalizzati, affossati ancora di più".

Pertanto per la Mastrocola è stata fatta, “una vera e propria, distruzione programmatica e scientifica di ogni contenuto culturale che priva per sempre di cultura proprio le classi basse, le quali invece avrebbero avuto bisogno proprio di una cultura alta".
In nome dell'antinozionismo "democratico", si pensava che non facendo più grammatica e letteratura, si proteggeva le classi deboli, invece così li abbiamo condannati per sempre a restare deboli. "Non abbiamo pensato che proprio a quei ragazzi era bene insegnare l'Iliade del Monti, il latino e il greco, onde dar loro l'opportunità di scegliere se restare montanari o diventare professori a Oxford?"

 

Per la professoressa torinese, questo forse è il delitto più grave commesso dai cinquantenni o sessantenni di oggi. E i ragazzi dovrebbero ribellarsi per questo, altro che mancanza di soldi alla scuola pubblica.

Destra o sinistra, prevale sempre un pensiero scolastico genericamente progressista e totalitario.

Oltre al donmilanismo, la Mastrocola fa un'ampia critica al rodarismo, al metodo didattico nato dal testo di Gianni Rodari. La Grammatica della fantasia, dove l 'autore auspica una scuola della fantasia, attraverso le parole e il loro libero gioco, i bambini arrivino a scrivere, a produrre in proprio filastrocche, favole, poesie, racconti.

Rodari, smontava e rimontava un testo, partendo dalle parole, e giocando all'infinito sul senso e nonsenso. Per la docente torinese questo è una rivoluzione. Rodari diventa il maestro della fantasia e con i suoi libri, forse anche involontariamente, forma migliaia e migliaia di maestri e maestre, in questi ultimi quarant'anni.
 

Così per Rodari, la scuola doveva smettere di fare cose noiose tipo la grammatica, per mettersi invece a educare alla libera facoltà creatrice. Per la cronaca, Rodari andava nelle scuole e si sedeva per terra, tra i bambini, metteva i banchi a cerchio, per far apparire che la scuola non sta facendo scuola.

La Mastrocola, però ammette: solo don Milani poteva fare scuola "alla don Milani", solo Rodari poteva fare scuola"alla Rodari". E così tutti gioiosamente, nella scuola elementare, hanno pensato che fare grammatica fosse un male. "Abbiamo dato inizio alla 'scuola del gioco'; la scuola è gioco. Il messaggio, è stato che, se non si gioca, non va bene e che tutto ciò che non è divertente è da buttare. Forse abbiamo sostituito il verbo giocare col verbo studiare".

 

Secondo la Mastrocola però la fantasia dovrebbe essere un risultato finale, prima bisogna passare anni a studiare, immagazzinare nozioni, eseguire esercizi, leggere libri, annotare pensieri, ripetere lezioni e anche annoiarsi. Ma questo è un discorso controcorrente e difficile e forse preferiamo non farlo.
Inoltre la Mastrocola punta l'attenzione sui vari concorsi a cui si dedicano colleghi delle elementari e delle medie, collezionano vittorie, e ne vanno fieri, così attraverso i concorsi si svicola tutti dalla normale e noiosa programmazione didattica, ancora, il solito ritornello: uscire dal piatto e tedioso nozionismo per approdare alla creatività libera e gioiosa. In pratica, un insegnante con il pretesto di un concorso, può smettere di fare il programma di grammatica o di letteratura, può evitare di sudare per ore cercando di far entrare una pagina nella zucca dei suoi bambini.

 

A coronamento di tutto questo metodo didattico, Rodari ha scritto, “Le Dieci tesi per l'educazione linguistica democratica”, nella quinta tesi c'è una critica alla pedagogia linguistica tradizionale, un preciso atto di accusa nei confronti della scuola tradizionale, incolpata di insegnare i verbi, l'ortografia, l'analisi logica e la sintassi, per di più 'ai più dotati'. Tradotto significa: la scuola tradizionale è verbalistica, mentre la nuova scienza pedagogica, può far imparare l'ortografia in modo indiretto e non verbale, per esempio ballando, apparecchiando la tavola e allacciandosi le scarpe.
In questo contesto, quello che prevale è un'idea politica di scuola, in cui la cultura è una parola negativa. Così nel 2000, De Mauro al tempo della riforma di Berlinguer, combatte contro il tema di italiano. Si voleva una scuola utile, dei saperi pratici, concreti, spendibili.

 

Con Berlinguer si conclude il processo di democratizzazione della scuola iniziato negli anni sessanta. Dopo, -scrive Mastrocola - si sono succeduti governi di destra e di sinistra, ma nulla di sostanziale è cambiato.

Le idee fondamento, della nuova scuola sono: obbligo scolastico il più esteso possibile, il tempo in classe il più possibile "pieno", fede nelle nuove tecnologie multimediali, predominanza del metodo di studio sui contenuti, importanza dell'apprendimento e non dell'insegnamento, centralità dello studente, autonomia scolastica, il POF, ovvero il Piano dell'Offerta Formativa. In breve, una scuola che punta alla socializzazione e si alleggerisca dai contenuti culturali a cominciare dal latino.

 

E mentre gli americani, prendono le distanze da una formazione tutta appiattita sul presente e sull'utile, immediatamente e concretamente spendibile e ci sono imprese che addirittura formano i loro manager a colpi di cultura classica, con periodi di studio a base di filosofia, lingue classiche, lettura dei grandi capolavori letterari. Noi invece, riduciamo i contenuti, deculturalizzazione e deverbalizzazione: con vittoria conseguente delle verifiche a crocetta, delle animazione visive e teatrali e soprattutto dei videogiochi. Del resto Maragliano, presidente della commissione Berlinguer, scriveva: "Il videogioco è la più grande rivoluzione epistemologica di questo secolo". Lo smanettamento collettivo e l'invasamento tecnologico è la logica conclusione dell'antinozionismo invocato negli anni Sessanta”.
 

L'ultimo capitolo della Seconda Parte del libro affronta il tema dei nuovi mostri: famiglia, Europa, Internet.

Qui la Mastrocola vanta una straordinaria conoscenza dei nuovi mezzi tecnologici, intorno ad internet, ma prima accusa un certo tipo di moralismo perbenista-progressista, qualcosa che va al di là degli esiti elettorali. E' come se ci si ritrovasse post-sessantottini senza aver fatto il Sessantotto, iscritti a un progressismo univoco e leggermente totalitario.
La Mastrocola rileva nella scuola di oggi un dominio, un pensiero scolastico genericamente progressista, che a sua volta diventa, un muro difficile da scalfire. I capisaldi di questo pensiero totalitario sono: 1 la scuola non deve insegnare nozioni; 2 la scuola deve motivare allo studio (possibilmente divertendo); 3 la scuola deve far andare avanti tutti senza selezionare; 4 la scuola deve essere utile, e servire essenzialmente a trovare lavoro.

 

Ecco la famiglia di oggi dagli anni novanta in poi si è inserita in questo contesto, magari, senza appartenere per forza a qualche partito politico, senza saper niente di sessantotto o della sinistra, senza aver letto Rodari o essere scesa in piazza per contestare. Le famiglie di oggi hanno abdicato, hanno accettato che la scuola non sia più severa, intransigente ed esigente. Se la scuola dà meno compiti, se dà poche insufficienze, e se poi li recupera con appositi corsi di recupero, va benissimo: la famiglia così ha più agio di andare in montagna e al mare, fare viaggi, etc. Se la scuola fa meno studiare e più giocare, va bene.

 

E qui la professoressa di Torino punta il dito sugli adulti, una società del piacere ha bisogno di una scuola del piacere, non certo di una scuola della sofferenza o della fatica! Infatti se la società degli adulti a un certo punto ha inteso la vita come un divertimento-intrettenimento, uno svago perenne, con ricerca spasmodica del successo e della felicità, la scuola non poteva certo rimanere una faccenda seria, barbosa ed esigente, in cui per esempio si dovesse studiare molto.

 

Del resto se un padre mette la sveglia alle tre per andare a prendere la figlia in discoteca, cosa pensate che possa fare la scuola? E così quando i figli non studiano la colpa è sempre degli insegnanti che non li sanno motivare.

 

Continua.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 24/06/2020