Brexit: continuano a dimettersi i promotori del referendum

Dopo Cameron e Farage, è il turno dei Ministri per la Brexit e degli Esteri, Davis e Johnson.

 

Il governo targato Theresa May continua a perdere pezzi.
Nella giornata di ieri, nel giro di 24 ore, si sono dimessi prima il Ministro per
la Brexit David Davis (insieme al suo entourage), e poi il Ministro degli Esteri Boris Johnson, l’eccentrico ex sindaco di Londra divenuto celebre per le sue posizioni anti Ue.

 

Le tempistiche e le modalità con cui i due lasciano sono differenti, ma simili nelle motivazioni: entrambi non accettano la linea che il governo May sta prendendo nei negoziati con Bruxelles. Più precisamente, ciò che contestano all’attuale coinquilina di Downing Street è quello di aver tradito la promessa di una “hard Brexit”, cui all’inizio sembrava puntare, per virare su un atteggiamento considerato da molti sempre più arrendevole e accondiscende nei confronti dell’Unione Europea.

 

A non piacere ai due dimissionari il Piano Chequers, dal nome della cittadina inglese dove lo scorso venerdì la May aveva riunito tutti i suoi Ministri cercando di trovare il bandolo della matassa sui negoziati: in pratica, per evitare la creazione di dazi e dogane che danneggerebbero l’economia e porterebbero a una crisi certa tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord, il Primo Ministro ha proposto la creazione di un’area di libero scambio, che includa prodotti alimentari e agricoli e che, di fatto, lascerebbe immutata la situazione tra Ue e Londra.

Una posizione che dev’essere accettata da Bruxelles -e non è detto che lo sia- e che sarà svelata meglio giovedì prossimo, quando il tutto verrà formalizzato su un “libro bianco”: una cosa è certa, la scelta di puntare su una “soft Brexit” non è piaciuta a molti all’interno del Partito di maggioranza, tra cui appunto Davis, 69 anni, e leader dei Leave che dopo appena 48 ore ha rassegnato le dimissioni vergando queste parole “La direzione generale della politica del governo, nella migliore delle ipotesi, lascerà la Gran Bretagna in una posizione debole nei negoziati con l’Unione Europea, e forse senza via di uscita”.Concludendo con un generico “in bocca al lupo” a chi ne prenderà il posto.

 

Più polemico l’addio del (ex) Ministro degli Esteri Boris Johnson, che aveva già marchiato il Piano Cherques “Una stronzata”, aggiungendo che “nel governo c’era qualcuno in grado di abbellire qualunque stronzata”.
Con la lettera di dimissioni di ieri si è superato "Il sogno della Brexit sta morendo, soffocato da dubbi inutili. Così ci avviamo ad assumere lo status di una colonia dell'Ue", ha scritto criticando i negoziati portati aventi dal Governo: per molti queste righe non sono altro che una dichiarazione di guerra contro l’attuale Primo Ministro e la sua leadership all’interno del Partito.
Theresa May che, a questo punto, sembra sempre più sull’orlo di una crisi di governo visto che si regge su una maggioranza sottilissima in Parlamento e i Tory sono in uno stato di continua lotta interna.

 

Secondo tutti i sondaggi se si andasse a votare oggi i Labour di Corbyn sarebbero avanti di un paio di punti, 40 a 38%, e lo stesso leader di sinistra –decisamente soddisfatto della situazione- definisce “incapace” l’attuale governo “ormai sprofondato nel caos più totale”. Chiede di “cedere il passo a chi è capace” ridicolizzando la May e la sua inconcludenza in due anni nel trovare una quadra con l’Europa e l’Irlanda.
Insomma, secondo Jeremy Corbyn, il Paese sarebbe ostaggio alla guerra civile scatenata in seno ai Conservatori.

 

Dall’Europa si guarda con un cero piacere al bagno di sangue, politico, che sta interessando il Regno di sua Maestà: il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk commenta distaccato “i politici vanno e vengono, ma i problemi che hanno creato per le persone restano. Il caos causato dalla Brexit è il problema più grande nella storia delle relazioni tra l’Unione europea e il Regno Unito, ed è ancora molto lontano dall’essere risolto, con o senza il signor Davis”, mentre il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha commentato ironicamente dicendo che le dimissioni “dimostrano chiaramente che c’era grande unità di vedute nel governo britannico”.

 

Una confusione, quella in cui è sprofondata il Regno Unito, palpabile anche all’interno dei giornali e post online, dove tra l’ironico e l’indignato si legge la frustrazione della gente.
C’è chi chiede di rivotare perché tutta la campagna è stata basata sulle bugie, mentre They are leaving the ship, stanno abbandonando la nave (che affonda, ndr) è uno dei commenti più quotati.
C’è anche chi esulta “nel giro di una settimana potremmo vedere l’implosione dei Tories e
la Nazionale di Calcio in finale di Coppa del Mondo, che spettacolo!”.

 

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Articolo pubblicato il 10/07/2018