Londra: folla oceanica per dire no alla Brexit.

A due anni dal referendum il popolo britannico sembra più pentito che mai.

Un mare di gente che ha stupito gli stessi organizzatori che si aspettavano al massimo centomila persone.
Difficile quantificare esattamente quanti fossero i manifestanti che ieri 20 ottobre hanno sfilato tra Piccadilly Circus e Regent Park chiedendo un generale ripensamento su quella che è la Brexit: c’è chi parla di mezzo milione, altri esagerano azzardando le 750’000 unità, una cosa è certa, erano tantissimi.
Per partecipazione la seconda manifestazione mai registratasi sul suolo britannico dietro solo alla sfilata contro la guerra in Iraq nel 2003 a cui parteciparono un milione di persone.

Tanti cartelli pro Europa e anti Labour, dunque, a regalare una dimostrazione d’affetto che fa a pugni con il sentimento generale per il vecchio Continente e le sue istituzioni che si respira qua e là: in Italia un recente sondaggio ha certificato che, se si andasse a votare oggi, solo il 40% di noi sceglierebbe a occhi chiusi di restare “sotto “Bruxelles”, il resto si sente “maltrattato”.
Nel Regno Unito il vento sembra essere cambiato, confermando il detto che l’importanza di una cosa la senti nel momento in cui essa viene a mancare.

La richiesta che rimbalza a ogni angolo delle strade è quella di rivotare: secondo i manifestanti e i promotori del Remain la popolazione non era al corrente di quanto di sarebbe verificato scegliendo il Leave, e la compagna per lasciare l’Europa sarebbe stata condotta sulla base di una serie di bugie.

 "Qui non stiamo chiedendo un secondo o un terzo, qui stiamo dicendo che la maggior parte delle promesse fatte due anni fa non si sono concretizzate, nessuno parlava di una cattiva Brexit o di un no-deal. In queste circostanze la cosa più democratica da fare è dare al popolo britannico il diritto di dire se accettano o meno il risultato nei negoziati tra il Governo e l'Ue. Non c'è niente di più democratico né più britannico". Ha dichiarati ieri a margine della manifestazione il primo cittadino londinese Sadiq Khan.

L'idea, dunque, è quella di votare ma non sulla formula del referendum del 2016 bensì sull’esito dei negoziati portati aventi dal Governo e i vertici Ue. Un escamotage deboluccio  che difficilmente verrà accolt
o: troppo orgogliosi gli inglesi per far marcia indietro dopo aver litigato con mezza Ue, troppo complicato creare un precedente del genere in cui vengono di fatto voltate le spalle alla volontà popolare, e troppo rischiosa la possibilità che il voto si trasformi in un nuovo ciclone sulla politica inglese.

Si andrà avanti così, presumibilmente, con una parte di Regno Unito spaccata per sempre, la capitale Londra e la Scozia a pensarla in un modo e il resto del Paese in un’altro.
Ciò che sicuramente non lascia dormire gli inglesi è l’assoluta incapacità del governo May di gestire la Brexit: complice anche la durezza dei vertici europei, la vispa Theresa ha collezionato un fiasco dietro l’altro rendendo l’ipotesi di una hard brexit, ossia l’uscita dall’Europa senza alcun accordo, uno spettro più che possibile.

In questi due anni, poi, parte delle promesse che erano state avanzate nel caso in cui avesse vinto il leave si sono sgonfiate come neve al sole (350 milioni di sterline in più da girare al Servizio Sanitario, per esempio), il Pil è calato rispetto ai numeri pre-2016 e tra i promotori del referendum c’è stato un fuggi fuggi generale - Boris Johnson e Nigel Farage su tutti- che ha lasciato i sudditi di sua maestà leggermente disorientati.

Theresa May tuttavia ha mostrato di non esser stata colpita più di tanto dalla folla oceanica di ieri, affermando che non stravolgerà l’esito del referendum.

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Articolo pubblicato il 21/10/2018