Ritratto dell'Ungheria di Orban.

Breve reportage sul Paese modello di Salvini.

L’Ungheria sta lì, nel centro dell’Europa, piccola e apparentemente innocua, con i suoi 10 milioni di abitanti e una lingua incomprensibile. Chiedessi in giro 3-4 cose famose relative a questo Paese molti si fermerebbero al Gulash, qualche vecchio appassionato di calcio tirerebbe fuori il nome di Puskas ma la cosa finirebbe lì.
Difficile sentir parlare in giro dell’Ungheria, conosciuta anche come Magiaristan, dal nome che avevano gli antichi cittadini della zona; l’eccezione la si ottiene toccando il tema immigrazione.
Lì, a seconda del proprio credo politico, l’Ungheria diventa paese nefasto o da prendere a modello: la responsabilità è da attribuire al celebre Orban.

Già, Viktor Orban, leader del partito Fidesz-Unione civica Ungherese, liberale e progressista, almeno sulla carta, è stato più volte ripreso da Matteo Salvini come esempio da seguire. 

E in effetti l’anticomunista Orban ha fatto della lotta ai migranti un vero e proprio simbolo: il suo Paese, negli ultimi anni, è stato investito dai flussi di richiedenti asilo provenienti dalla Turchia e diretti in tutta Europa, specialmente in Germania. Orban, a difesa dei propri confini, ha fatto trovare dei reticolati e nessuna possibilità di entrata, dirottando suddetti flussi in Serbia, Croazia e Slovenia.
I leader europei sono insorti, Salvini, la Le Pen e molti altri nazionalisti han gongolato.

Ad aumentare il carico la richiesta, da parte del governo ungherese, di farsi finanziare metà muro dall’Europa, costato in tutto 800 milioni. La risposta da Bruxelles fu scontata “Non promuoviamo l’uso di barriere. Di recente abbiamo già abbattuto dei muri in Europa e non dovremmo tirarne su altri”. 
Per sua volontà, il 2 ottobre 2016, si è tenuto un referendum contro la ripartizione degli immigrati voluta dall’Unione Europea: purtroppo per lui si recarono alle urne solo il 43,23% degli aventi diritto, cosa che decretò il fallimento della chiamata popolare.
Inutile specificare che il 98% dei votanti si dichiararono pro quesito. 

Ha le stigmate del dittatore, Orban, che ha governato l’Ungheria una prima volta dal 1998 al 2002, e poi si rimesso in sella del Paese nel 2010: da lì non si è più staccato. Ad aprile ci saranno le elezioni e, con tutta probabilità, verrà riconfermato per l’ennesima volta a capo del governo: sarebbero 12 anni consecutivi.

Durante l’ultimo mandato il leader ungherese ha preferito sfilare il proprio paese dalla morsa europea, stringendo legami sempre più forti con Putin e l’Asia, e invocando una liberazione “dai dogmi e dalla ideologia europea”.
Come tutti gli uomini di potere, c’è chi lo ama e chi, più o meno celatamente, lo odia.

Le ragazze che mi ospitano per un paio di settimane a Budapest si dichiarano apertamente ostili: Orban critica l’Europa ma usa i suoi soldi, voi dovreste essere i primi a incazzarvi, mi fanno notare. 
Mi trovo in una famiglia democratica, tendente a sinistra. 
Quando, durante una loro cena, faccio notare che in due settimane mi sono sempre sentito al sicuro in quel paese, loro dicono “dove pensavi di venire? In un paese di criminali?" Si risentono un minimo, poi buttano giù un altro bicchiere di Palinka, liquore che da quelle parti è un vero e proprio simbolo nazionale, come l’enorme lago Balaton e il Danubio che, placidamente, taglia Buda e Pest.

L’Ungheria fa parte dell’Unione europea ma conserva gelosamente il fiorino. Io dico ai ragazzi che non è male come moneta, i prezzi sono bassi, in linea con i salari, e l’Euro non è quella manna che potrebbe sembrare vista da fuori. 

I freddi dati economici, poi, sembrano essere ottimali: nel 2016 e nel 2017 il Pil è cresciuto rispettivamente 2,9 e del 2,5%, il debito pubblico è in costante calo e la disoccupazione praticamente non esiste (4,3%). Certo, il pil pro capite è parecchio basso, e lo stipendio medio equivale a 200’000 fiorini, circa 700 euro.

Viaggiando per la Budapest notturna mi imbatto in un paio di giovani studenti, dopo qualche bicchiere si finisce a parlare di Storia, mi dicono che gli ungheresi e gli italiani hanno combattuto duramente durate la prima guerra mondiale, qualcuno si ricorda addirittura del nome Piave e sono sinceramente stupito. Chiedo se rimpiangono l’impero austro-ungarico, e lì una delle due ragazze quasi mi trascina via: tutti gli ungheresi considerano quel periodo come di sopraffazione, e la parte relativa a Budapest non era altro che terra di conquista da parte degli odiati austriaci. 
Ecco perché in tutti questi anni insieme l’influenza viennese è piuttosto limitata.

Semmai rimpiangono il fatto di essere così piccoli, e pretendono vari territori ora sotto la Romania. Specie la Transilvania, terra ricca e a tradizione magiara. Ogni nazione ha la sua Dalmazia, penso, allontanandomi.

Certo che Budapest è proprio pulita e ordinata, e anche i mezzi di trasporto sono efficientissimi, mi tocca ammettere con non poco stupore rientrando a casa. Poi è senz’altro sciocco giudicare un Paese in pochi giorni, ma qui capanelli di nullafacenti, gente che importuna a ogni angolo della strada, cassetti che vomitano immondizia, proprio non ne ho visti.

Però è anche vero che si tratta di un paese che è dieci volte più piccolo dell’Italia, con un pil pari a quello Veneto, i cui punti in comune con la nostra penisola si fermano ai colori della bandiera.
Ha senso prenderlo ad esempio?

 

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Articolo pubblicato il 02/02/2018