Spagna, lo spettro di una nuova guerra civile.

A Barcellona migliaia di indipendentisti in piazza contro la repressione del Governo.

In Spagna sale la temperatura dello scontro tra Barcellona e Madrid, e stavolta il caldo non c’entra.
Al centro dell’eterna disputa tra centralisti e indipendentisti il referendum, mai riconosciuto dal governo, che il primo ottobre dovrebbe – il condizionale è quanto mai d’obbligo- chiamare alle urne i cittadini della Catalogna.

Come detto, la Corte Costituzionale spagnola ha già marchiato come illegittima la consultazione sull'indipendenza, e l’8 settembre scorso ha denunciato in blocco il governo catalano per “disobbedienza, abuso di potere e malversazione di denaro pubblico”.
Ma è proprio oggi che si è giunti alla classica goccia che sta facendo traboccare il vaso: dalla Magistratura, infatti, è partito l’ordine di perquisizione per ventidue tra dipartimenti e locali in capo alla catalogna, oltre che l’arresto di 14 alti funzionari del governo catalano. Tra di essi spiccano i nomi di Josep Maria Jové, numero due del leader di Esquerra Republicana de Catalunya e Oriol Junqueras, uomo forte del movimento indipendentista e vicepresidente del governo.  

Durante quest’azione pare siano state sequestrate le 10 milioni di schede elettorali e centinaia di lettere in attesa di spedizione: avrebbero dovuto convocare i presidenti di seggio e gli scrutatori per il referendum.

Un atto, quello ordinato dalla Magistratura spagnola e avvallato da Rajoy, duro e clamoroso, che ha portato migliaia di indipendentisti a riversarsi nelle ramblas di Barcellona: ad essere nell’occhio del ciclone la Guardia Civil, il braccio armato dello stato centrale, entrato negli uffici e nei locali catalani.
Varie facoltà hanno deciso di sospendere le lezioni, e il grado di allerta è salito ai massimi storici. Al momento, tuttavia, non figurano danni rilevanti, ma la situazione è in divenire.

Ovviamente la scelta di usare la forza armata per bloccare il referendum ha scatenato una miriade di reazioni, a partire da quella del sindaco di Barcellona, Ada Colau di Podemos, che ha definito tutto ciò “uno scandalo democratico” , invitando le persone a scendere in piazza.

Ancora più duro è stato il governatore della Catalogna Carles Pigdemont che ha inveito “Il governo ha oltrepassato la linea rossa  che lo separava dai regimi totalitari  ed è diventato una vergogna democratica”, sottolineandone “l’atteggiamento totalitario”. Accusa l’esecutivo di Madrid di avere “sospeso di fatto, illegittimamente, l’autogoverno della Catalogna, instaurando uno stato di eccezione: la libertà è sospesa“.
Lo stesso Pigdemont ha però cercato di placare gli animi “Fino al primo di ottobre abbiamo bisogno di un atteggiamento di fermezza e serenità, ma quel giorno usciremo di casa, prenderemo una scheda e la useremo».  

Il Primo ministro Rayoj, dal canto suo, ha ribadito come fosse necessario l’intervento dello Stato, sottolineando come la stessa consultazione fosse una “follia che non porta da nessuna parte”.
Di parere opposto Podemos, che con il suo leader Iglesias attacca duramente il Partito Pololare , definendolo “corrotto”, e denuncia che da ora in poi, in Spagna “torneranno a esserci i detenuti politici”.
La sinistra spagnola fa la sinistra, non prendendo una posizione specifica ma soffocando nel solito imbarazzo, schiacciata dalla pretese indipendentiste a cui ha sempre offerto l’orecchio, e l’appoggio alle istituzioni cui si sente legata. Ne esce un poco convinto “Gli ordini della Magistratura non si discutono”.

Pare che nelle ultime ore siano stati chiusi dall’autorità iberica ventidue siti che esaltavano l’indipendenza e il voto del 1 ottobre.
L’impressione è che tutta questa repressione non faccia che favorire i manifestanti, che in questo momento, in strada, tra lo sventolio della senyera giallo-rossa e l’inno catalano, stanno intonando un poco rassicurante, per Madrid, “voteremo … voteremo … e lasceremo la Spagna!”

 

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Articolo pubblicato il 20/09/2017