Pd- M5s: tra i due litiganti il terzo gode.

Il centrodestra vince le amministrative e sogna il colpo nazionale

Mesi ad azzannarsi, a scambiarsi colpi proibiti, accuse e insulti dividendosi praticamente su tutto: dalla legge elettorale, allo ius soli, dall’immigrazione all’economia, dalle vicende giudiziarie del babbo di Renzi al caso Marra a Roma.
Una lotta, quella tra il partito di Renzi e il Movimento Cinque Stelle che ha di fatto usurato entrambi. Gli italiani hanno fatto capire attraverso il voto delle amministrative che non sono più disposti ad aspettare le bizze del fiorentino o i girotondi dell’ex comico.
A spuntarla, come spesso accade, il terzo polo, quello un po’ troppo spesso ignorato da tutti gli addetti ai lavori .
Il centrodestra ha avuto un grande merito: quello di essersi negli ultimi mesi un po’ eclissato, rimanendo a bordo ring mentre i due pugili se le davano di santa ragione: nemmeno un occhio gonfio dalla vicenda Roma, per non parlare del caso Consip o dello stallo istituzionale.

Il Centrodestra è stato in grado di fare una buona campagna elettorale, presentandosi spesso unito e con candidati vincenti. Le prove di governo locale sono convincenti, se è vero che le aree d’Italia in cui si cresce di più e dove settori come la sanità e l’istruzione sono all’avanguardia vengono amministrate da anni da uomini di centrodestra: Lombardia e Veneto su tutte.

Il Pd continua nel segno della sconfitta: Renzi, pur riappropriandosi del partito, non riesce più a riappropriarsi dei suoi elettori, cosa ben più importante.
La nomea di vincente che si era costruito attorno al suo nome inizia a sbiadirsi: le elezioni europee sono solo un lontano ricordo targato 2014 e nel frattempo l’ex sindaco di Firenze ha perso un po’ ovunque, dalle città più importanti della penisola (Torino, Roma, Genova) al referendum di dicembre.
Persino le città rosse, tipiche del centro Italia, oggi sono molto meno rosse e il centrodestra si è mangiato parecchie roccaforti di sinistra, come Piacenza, Pistoia e Sesto.
Renzi ha dichiarato che “poteva andare meglio” sottolineando però come il pd abbia vinto per 67 a 59. La solita spocchia che indica come il leader di centrosinistra sia lontano anni luce dall’imparare dai propri errori.

Il Movimento è l’altro grande sconfitto della  recente tornata elettorale: poco importa se è riuscito a vincere in otto dei dieci ballottaggi in cui era presente: i comuni in cui si votava erano oltre 100 e la manciata di sindaci fatti eleggere sotto le file grilline non può essere considerata un successo.
Il movimento ha dimostrato di non essere radicato sul territorio, e spesso i candidati proposti sono sembrati pesci fuor d’acqua; non avranno aiutato le prove finora non brillantissime della Raggi a Roma e dell’Appendino a Torino

Un altro bel grattacapo per Grillo riguarda le spaccature che si sono verificate in vari meet-up e che hanno consegnato agli avversari città su cui avrebbero potuto vincere come Genova o Palermo.
Il caso Pizzarotti poi, dovrebbe portare il leader del M5S al classico bagno d’umiltà: il sindaco di Parma sarebbe stato un ottimo spot per la compagine grillina, mentre la sua cacciata dal movimento ha finito per fare da beffa ai pentastellati.
Da questa bagarre ne è uscito, un po’ a sorpresa vincitore il centrodestra che però, se a livello locale può stringersi in alleanze stabili e durature, a livello nazionale deve far fronte alle solite diatribe tra Salvini, Berlusconi e la Meloni.
Persino nell’immediato post vittoria c’è stato da ridire, con il Cavaliere che si auspicava un’alleanza sotto il segno dei moderati, cosa che non è piaciuta agli altri due che han fatto notare come i tempi del grande centro formato dai Fini, Casini e Alfano siano definitivamente tramontati.
Il ministro degli Esteri, però, rivendica la centralità del suo partito in molte delle coalizioni vincenti. 

C’è anche il nodo del partito più scelto tra Lega e FI: se al Nord è prevalso il Carroccio, in molte aree del Sud lo stesso non si è nemmeno presentato, facendo propendere l’ago della bilancia per Forza Italia.
Un modo per scegliere il leader della coalizione ci sarebbe, ossia istituire le primarie, termine che al solo pronunciarlo fa andare di traverso la cena a Berlusconi.
Insomma, uniti si vince, ma se le premesse sono queste, per raggiungere l’unità si dovrà attendere ancora un po’, e non pare malaccio l’idea di aspettare la fine della legislatura per andare a votare.

 

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Articolo pubblicato il 28/06/2017