Omicidio Varani: suicida in carcere Marco Prato.

Non si ferma l'ondata di sangue iniziata quella tragica notte di marzo.

Quella notte non è stata dimenticata.
Non l'ha dimenticata nessuno, per violenza, orrore e crudeltà.
Non l'ha fatto nemmeno Marco Prato, uno dei due imputati per l'omicidio di Luca Varani il 3 marzo 2016. L'altro, Manuel Foffo, resta in carcere.
Le motivazioni del gesto sono state scritte dallo stesso omicia-suicida su un biglietto rinvenuto in cella, e sono da attribuire alle "menzogne dette" e "all'accanimento mediatico" subite dallo stesso.
Il ragazzo, rinchiuso nel carcere di Velletri dove l'indomani avrebbe avuto udienza per il processo cui era stato imputato, si sarebbe soffocato con una busta di plastica riempita a sua volta dal gas di una bomboletta con cui cucinava.

Certo la storia ambientata ai Parioli e riguardante la Roma bene aveva sconvolto molti giovani, romani e non, facendo consumare fiumi di inchiostro sulla spensieratezza malata in cui vivono certe generazioni nate con la camicia e dedite al solo sballo.


I protagonisti, Marco Prato e Manuel Foffo, entrambi studenti nonostante i quasi tren'anni d'età, si trovano a casa del secondo.
Per tutto il giorno precendete l'omicidio decidono di passare la giornata a bere alcool e consumare cocaina. Gli stessi inquirenti interrogando Foffo, consateranno che il soggetto era avvezzo all'uso della sostanza stupefacente, anche se non in maniera continuativa.

Il festino assume il carattere della tragedia quando ai due, usciti in macchina, viene in mente di torturare qualcuno : «Avevamo il desiderio di fare del male a una persona qualsiasi. Questa cosa è maturata nelle nostre menti nella notte di giovedì».
L'irrazionalità delle frasi mette i brividi.

Prato telefona al conoscente Luca Varani, 23 anni di origine jugoslava ma adottato da una coppia romana, convincendolo ad andare a casa sua al Collatino, sud est di Roma.
Allla vittima vengono offerti 100 euro per un rapporto sessuale e, una volta nudo, gli viene somministrato un bicchiere d'alcol con dentro sciolta una pastiglia di Alcover, un medicinale che Foffo utilizzava per curare la dipendenza da alcol.
Luca di sente male, ed è li che inizia la violenza. «Marco lo ha messo nel bicchiere di Luca. Mentre noi siamo rimasti vestiti, Luca si è denudato e ha bevuto quanto gli avevamo offerto, poi è andato in bagno e si è sentito male. Qui Marco lo ha aggredito, io ho recuperato il martello che abbiamo usato e forse sono stato io a trovare anche i due coltelli (…). Luca non è mai riuscito a resistere alle nostre violenze, ma posso precisare che non ha mai gridato. Mentre lo colpivamo non provavo piacere però non ero in grado di fermarmi anche se ho avuto dei momenti in cui provavo vergogna per quello che facevo. Lo abbiamo davvero torturato. Ricordo solo che la morte è sopravvenuta dopo molto tempo e Luca ha sofferto molto. Non ricordo quante coltellate aveva alla gola, è stato Marco che ha inferto la coltellata al cuore lasciando dentro il coltello, Luca era ancora vivo prima di quella coltellata».
Parole che sembrano trovare riscontro nell'autopsia della scientifica, e che fanno male quasi come delle nuove pugnalate alla famiglia di Luca.
Proprio la sua ex, tuttavia, ha avuto l'orgoglio e la forza d'animo di scrivere, appena saputo del suicidio di Marco:

Una vita è una vita.
Sono scioccata per quanto accaduto ...
Solo due parole : silenzio e rispetto per il lutto delle famiglie.
Grazie

Un silenzio che, visto l'epilogo, sarebbe il caso di far calare sull'intera vicenda.

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Articolo pubblicato il 21/06/2017