Finale di Champions: attacco di panico in piazza San Carlo

Resoconto di una strage solo in parte sfiorata

Il Real Madrid ha appena segnato il terzo gol, con Ronaldo, e nell’aria estiva di una colma Piazza San Carlo si inizia a respirare la delusione per l’ennesima finale persa.

La partita non è ancora finita, mancheranno una ventina di minuti, però intorno il clima sembra essersi spogliato dell’euforia che l’aveva contraddistinto sino a poco prima.  
Poi, d’improvviso, le urla.

Non sono urla di tifo, ma di terrore.
Mi giro verso la statua equestre, la folla nel buio si sta muovendo in maniera frenetica, impazzita.
Ci guardiamo intorno, che sta succedendo?
In men che non si dica un’ondata di gente ci travolge, stanno tutti premendo verso l’esterno della piazza.
Vengo assorbito in quella che è una psicosi collettiva: c’è chi piange, chi perde zaini, borse, qualcuno cade per terra, viene calpestato. Urla di terrore, altri predicano la calma, ma non ce la possiamo fare. Siamo tutti intenti a premere verso i portici. Ci arriviamo. Sbatto su un tavolino, cado, mi faccio male a una mano. Per terra c’è uno spesso strato di cocci di bottiglie che fan scivolare le persone e feriscono. 

La marea, e io con lei, si riversa in Via Maria Vittoria.
Qualche genitore chiama terrorizzato suo figlio; nella disperazione, molti piangono. Si sentono accenti diversi: sono molti i ragazzi che hanno preso pullman, treno o macchina da tutta Italia per vedere la finale in Piazza a Torino, e si trovano di colpo a vivere un incubo .
Finalmente si respira un po’, e ci chiediamo cosa stia succedendo. Si parla di bomba, ma non sono notizie confermate. Certo siamo tutti convinti di essere proiettati in uno di quegli scenari di terrorismo che da troppo tempo siamo abituati a vedere in tv.

Presto il cellulare a un ragazzo che ha perso dei suoi amici, ma scatta un nuovo attacco di panico.
Centinaia di persone corrono verso di noi urlanti. Che faccio? Corro anch’io.
Spaventato, smarrito, col cuore in gola: stiamo tutti scappando da qualcosa di cui ignoriamo la presenza.
Alcuni si buttano nei portoni del centro, altri in chiesa.

Finita la seconda ondata torno indietro a cercare i miei amici e quello che mi si palesa davanti è uno scenario di guerra: sangue che bagna i marciapiedi, feriti, almeno due corpi travolti dalla folla vengono trascinati in attesa di soccorso, lacrime, scarpe, zaini, vestiti, affetti personali, disperazione.
Finalmente arrivano le ambulanze e i primi soccorsi.

Si parlerà di duecento, addirittura mille feriti. In queste ore pare un bambino sia grave, quindi parlare di emergenza sfiorata è ingiusto. Dire che però il bilancio poteva essere molto peggiore non lo è, ripensando alle decine di bimbi e anziani travolti da questa psicosi collettiva.

Una riflessione va fatta sull’organizzazione e sulle sue responsabilità: in questo periodo far assembrare 50’000 persone in un luogo con poche vie d’uscita pare azzardato, così come sono apparsi inadeguati i controlli all’ingresso (all’interno della piazza c’erano i carretti di venditori di birra, e non parlo dei petardi che hanno contraddistinto tutta la serata).
Vi erano poi una trentina di uomini appollaiati sul cavallo di piazza San Carlo, e decine di persone sulle edicole (chiuse) ai margini della città.

La presenza delle forze dell’ordine era limitata ai margini della piazza, e regnava più che altro l’idea di stare all’interno di una curva, dove vige l’anarchia più totale.

Ma forse bisognerà riflettere più sull’idea che ormai la caduta di una transenna o lo scoppio di un petardo, cose tutto sommato normali per una festa in piazza una decina d’anni fa, possano provocare una simile ondata di panico. La paura del terrorismo è dietro l’angolo, solo un po’ malcelata da indifferenza e ironia.
E se iniziano a vincere senza nemmeno giocare, quello sì che può considerarsi un dramma.

 

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Articolo pubblicato il 04/06/2017