Alfano scioglie il Nuovo Centro Destra.

Ma la notizia non interessa a nessuno.

La prima reazione che risulta automatica per tutti è più o meno la seguente ‘ah! ma allora era ancora in vita il partito di Angelino Alfano!?’
Presumo di si, perché risulta difficile sciogliere qualcosa che non esiste.
Quindi lo era.
E, a ben sentire lo stesso leader del partito, è stato in grado di raggiungere obiettivi importanti.
“Dal 18 marzo noi diremo che l’esperienza del Nuovo centrodestra si conclude con degli ottimi risultati, ma che adesso dobbiamo unirci con altri per riuscire a centrare l’obiettivo di dare finalmente una casa comune ai moderati liberali popolari italiani”.
Ovviamente i risultati a cui allude Alfano non si riferisco alle migliori condizioni economiche raggiunte grazie alla sua azione, o al livello di sicurezza palpabile quando giocava a fare il ministro degli Interni, bensì a uno molto più complesso: quello d’essersi garantito cinque lunghissimi anni a capo di due dicasteri.

E mica due qualsiasi: quelli prestigiosissimi degli Interni e degli Esteri.

Guardando poi gli altri ministeri occupati dai fuoriusciti del Popolo della Libertà nel 2013 bisogna riconoscere al partito una certa predisposizione nell’occupazione delle poltrone di lusso: Maurizio Lupi è stato ministro dei Trasporti, prima di dimettersi per un’inchiesta che ha riguardato il figlio; la De Girolamo è stata ministra delle Politiche Agricole e Ambientali, e solo recentemente si è ricollocata tra le fila berlusconiane, Gaetano Quagliarello si è occupato di riforme costituzionali, e la Lorenzin con un semplice diploma al classico si è assicurata la Sanità: vero capolavoro.
Senza contare tutti i sottosegretari e i dirigenti inseriti nella grande macchina amministrativa italiana.
Mica poco per un partito che conta più eletti che elettori, più scranni in parlamento che sostenitori in piazza.

Alfano, infatti, ha avuto il grande merito di restare incollato alla poltrona nonostante tutto: non ha battuto ciglio con l’avvicendamento Letta- Renzi, non ha fatto una piega quando il toscano è stato spazzato via dall’esito del referendum ed è stato sostituito dall’ineffabile Gentiloni; è sempre stato lì, nella sua inadeguatezza, impassibile di fronte alle percentuali del suo partito che, giorno dopo giorno, si trasformavano in prefissi telefonici.
Un partito che, di fatto, è esistito solo a livello parlamentare, garantendo la fiducia ai governi di centrosinistra che negli ultimi quattro anni si sono succeduti. Bel paradosso per una formazione politica che si dichiara di centrodestra nel nome e nelle intenzioni.

Certo, l’affidabilità del buon Alfano, molto meno instabile delle temutissime correnti del Pd, non va ricercata nei programmi comuni o nel senso di responsabilità paventato più volte dagli stessi leader, ma in un sano attaccamento al ruolo istituzionale faticosamente ritagliatosi.
Un leggero mal di pancia , subito rientrato, quando in parlamento si discuteva del ddl Cirinnà, ma poi è tornato il sereno.
Mica si può mettere a repentaglio una legislatura per una bazzecola simile?

Ora, allarmato dalla nave battente Pd che si sta ammutinando al suo capitano e in vista di nuove elezioni che rischiano di farlo sparire per sempre nel pantano dove si sono ficcati i poco lungimiranti Fini, Follini e Co., il buon Angiolino si vede costretto a chiudere baracca e burattini e a fondare un nuovo movimento: e non importa se sarà di destra o di sinistra, se ci sarà da sostenere Emiliano o Berlusconi, il primo punto programmatico resta sempre uno: garantirsi una comoda poltrona per tutta la prossima legislatura.

 

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Articolo pubblicato il 04/03/2017