Bufera su Poletti: richieste le dimissioni.

Non vanno giù alle opposizioni le parole del Ministro del Lavoro

 

Risulta piuttosto difficile trovare un governo composto da tanti inetti: anche riavvolgendo il nastro della storia e andando a analizzare i non eccellenti esecutivi che lo hanno preceduto, il compito si rivela piuttosto arduo.

 

Ma d’altronde un governo che annovera tra i suoi cavalli di razza il poliglotta Angelino Alfano, Ministro degli Esteri grazie ad accordicchi di palazzo e alla guida di un partito che a livello nazionale ha numeri da prefisso telefonico, Marianna Madia alla Pubblica Amministrazione, nota per aver presentato una riforma nata incostituzionale, la rediviva Maria Elena Boschi, insignita del titolo di “Faccia di Bronzo 2016” per l’aver spergiurato che, perso il referendum, sarebbe tornata a fare l’avvocato in Toscana, e invece è rimasta saldamente legata alla poltrona, e da ultima, non per importanza la vispa Fedeli, Ministro dell’Istruzione, con la capacità di trasformare un semplice diploma preso alle magistrali in una Laurea In Scienze Sociali.

In un contesto del genere non poteva mancare Giuliano Poletti, di professione Ministro del Lavoro, con il simpatico hobby di inanellare una gaffe dietro l’altra. Oltre a cannare completamente la riforma del lavoro, che ha avuto il merito di decuplicare il ruolo dei voucher precarizzando ancora di più le condizioni occupazionali
Ecco, Poletti durante una conferenza si sarebbe fatto scappare la celebre frase “Se 100mila giovani se ne sono andati dall'Italia, 'non è che qui sono rimasti 60 milioni di 'pistola'... Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi'”.

 

Sia chiaro, nulla di scandaloso, e qualcuno potrà anche convenire con quanto detto, tuttavia Poletti è un Ministro della Repubblica Italiana, Repubblica che, è bene ricordarlo, ogni anno vede partire per l’estero migliaia di giovani, formati nella Penisola (quindi con relativo costo), generando quel fenomeno tristemente noto come “Fuga di cervelli”.
E la cosa che aggiunge quel sapore di beffa a ciò è che il figlio, Manuel, 41 anni, fa il giornalista per un quotidiano legato alle Coop (si finanzia grazie ai contributi statali, circa mezzo milione in tre anni, ndr), guadagna 1800 euro, che per quel mondo fatto di partite iva e collaborazioni occasionali non è poco e, manco a dirlo, non si è ancora laureato.
Problemi suoi, penserete.
Certo, non fosse che suo padre, non più di un anno fa se ne uscì con un’altra celebre perla “Laurea a 28 anni con 110? non serve, meglio con 97 a 21”. Probabilmente non sapendo che uscendo dal liceo a 19 anni, la laurea (triennale) a 21 è parecchio complicata da ottenere.
Ma d’altronde è un perito agrario, non ha mai frequentato corsi accademici.

Ciò che colpisce è che Giuliano Poletti sembra parlare con leggerezza, forse troppa, per ciò che riguarda un ministero tanto importante e con le piaghe che si porta dietro.
Altro scivolone che ha coinvolto il pasciuto Ministro riguarda il referendum sul discusso Jobs Act: lui si auspica si voti alle politiche prima che la Corte stabilisca la sua ammissibilità:“se si va al voto in primavera si evita il rischio referendum sul lavoro”. Denotando quindi una latente paura dell’ennesima batosta elettorale, oltre che una scarsa dimestichezza col concetto di democrazia.

 

Per questa ragione Lega, Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana hanno annunciato una mozione di sfiducia nei confronti del Ministro, il quale non fa trasparire preoccupazione e, anzi, tira dritto.
Almeno fino alla prossima gaffe.

    

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Articolo pubblicato il 22/12/2016