E’ accettabile questa vignetta?

Perché un anno fa eravamo tutti Charlie Hebdo e ora critichiamo il giornale francese.

Mi sono preso un paio di giorni per commentare il fatto.
Un paio di giorni utili a digerire la vignetta che, in tutta la sua durezza,sembra ironizzare sulle  quasi trecento vittime del terremoto del Centro Italia.
Un’ironia, quella usata dai vignettisti del settimanale francese tristemente noto per i tragici attentati del gennaio 2015, non apprezzata da tutti.
Perfino il Ministro degli Interni Alfano ha dichiarato “avrei un suggerimento su dove devono infilare  la loro la matita”. E come lui, sono parecchi gli italiani a non aver gradito la satira di Charlie Hebdo, decisi a far capire il proprio malcontento  via social: alcuni si sono spinti oltre, insultando i vignettisti e giustificando gli attentatori islamici autori della strage in redazione.
Frasi, queste, dettate dalla rabbia e dalla frustrazione del momento. La stessa frustrazione che avrebbe portato i tifosi italiani a fischiare l’inno francese durante l’amichevole di venerdì scorso.

Premesso che fischiare un inno nazionale è sempre stupido, anche perché la rivista Charlie Hebdo non parla a nome dei francesi (L’ambasciata francese ha preso subito le distanze dalla vignetta ndr), ed è come se i tedeschi ci detestassero per i molti titoli provocatori scritti dai quotidiani nazionali più coloriti, penso a Libero o l’Unità, viene naturale fare una riflessione sul ruolo della satira del mondo moderno e, soprattutto, sulla sua libertà d’espressione cui essa gode.

Ormai, specie attraverso Internet, si è ampiamente sdoganato il politicamente scorretto, ha preso piede il black humor (sono parecchie le pagine facebook che vivono di questo) e si son raggiunte vette d’acidità e cattiveria che tra le bigotte file della Rai e più in generale sulla Televisione facciamo fatica a rilevare.
Il genocidio degli ebrei, le morti illustri di Simoncelli e Tarricone,il Terrorismo e la Chiesa: non c’è argomento che la satira non abbia toccato, anche con cattivo gusto, proteggendosi poi sotto l’ampia bandiera della democrazia e della libertà d’espressione.

Tutti coloro che han provato ad opporsi sono finiti al tappeto. Penso a Vasco Rossi, qualche annetto fa etichettato come drogato da Nonciclopedia, versione satirica di Wikipedia: il rocker provò a ribellarsi facendo partire qualche denuncia agli autori del pezzo: l’azione si trasformò in un boomerang per il Vasco,  con la sua pagina Facebook coperta dagli insulti.

La domanda, tuttavia, nasce spontanea: c’è un limite alla satira? E’ giusto accettare qualsiasi provocazione provenga da essa? Generalmente viene indicato il buon senso come il limite naturale alla satira.

L’idea, però, è che porre il solo buon senso alla libertà d’espressione può essere pericoloso: ciò che per una persona è accettabile, per altri non lo è. Così come ricevere lo schiaffo (penso ai parenti o conoscenti della vittime del Terremoto) è tutt’altra cosa rispetto a guardarlo dal di fuori.
Siamo tutti pro-satira fino a quando non veniamo colpiti direttamente dalla stessa.
Alcuni sostengono che temi come la religione, le stragi, i drammi , almeno quelli recenti, per cui scorre ancora sangue per le strade,dovrebbero essere quantomeno evitati. E su questo sarei d’accordo, anche a costo di passare per censore.

Leggendo alcune definizioni tratte da autorevoli enciclopedie, la satira viene definita come “ quel genere della letteratura, delle arti e, più in generale, di comunicazione, caratterizzata dall'attenzione comica ma allo stesso tempo critica della politica e della  società, mostrandone le contraddizioni e promuovendo il cambiamento”.

E forse è proprio questo il succo del discorso sulla vignetta di Charlie Hebdo: mostrare gli italiani schiacciati a mo’ di lasagna sotto delle macerie non fa nè ridere nè pone alcuna critica al sistema.
Non è satira.
E' semplicemente cattivo gusto.

 

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Articolo pubblicato il 06/09/2016