Stefano Parisi. Il futuro del Centrodestra passa da lui.

Il Cavaliere potrebbe aver tirato fuori dal mazzo la carta vincente.

Forse non tutto è perduto, forse Silvio Belusconi, dopo un lungo periodo in cui ha sbagliato qualsiasi investitura, da Alfano a Bertolaso, ha azzeccato quella giusta.
Questo è il primo pensiero che viene in mente guardando il volto asciutto e serioso di Stefano Parisi, ascoltandone i pareri competenti e puntuali.
Dall’ex city manager di Milano, dagli studi di La 7, viene fuori l’immagine di uomo pragmatico, coerente con la sua storia professionale, non eccessivamente politicizzato,e capace di strappare consensi anche a un’eventuale platea di centrosinistra.

Parisi, romano di nascita ma milanese per crescita professionale, ha sessant’anni e un background tutt’altro che di Destra: dopo la laurea in Economia e Commercio alla Sapienza, entra nella CGIL in quota di socialista,  ottenendo in seguito  vari incarichi ministeriali. Tra i più rilevanti, quelli nel Collegio Sindacale Rai, in Confindustria,come Amministratore Delegato di Fastweb, diventando city manager di Milano sotto la legislatura Albertini.

Nelle ultime amministrative ha sfiorato per pochi punti il governo della città di Milano contro il lanciatissimo Giuseppe Sala, spinto da un partito certamente più solido e il successo targato Expo.
Una sconfitta, quella di Parisi, dal sapore dolce.
Infatti Berlusconi, stregato dalla buona campagna elettorale condotta, ha deciso di affidargli il complicatissimo ruolo di riunire i vari frammenti del Centrodestra, spaccato in mille pezzi come nemmeno nelle peggiori tradizioni dalemiane: Parisi sembra optare per una decisa virata verso il Centro, con l’intento di riconquistare tutti i transfughi che negli anni hanno abbandonatola nave del Cavaliere: Alfano, Verdini, Zanetti e company guardano con interesse questi nuovi sviluppi.

Berlusconi ha più volte espresso la convinzione che il nuovo leader del centrodestra debba essere una figura capace di raccogliere voti tra i moderati, che sappia riunire sotto una sola guida tutti i partiti dell’area, che eviti populismi, che sia critico verso l’Europa ma non favorevole  all’uscita, e che, possibilmente, provenga dalla società civile: centrista e liberale, antilepenista e critico su Trump,Parisi sembra aver tutte le carte in regola per entrare in possesso delle chiavi del centrodestra.

Particolarmente interessanti anche per chi non si riconosce in quell’area lì sono le sue posizioni, non dettate dall’opportunismo politico ma ponderate e puntuali: a ottobre, afferma, non si deve votare No per mandare a casa Renzi, bensì per evitare che una modifica costituzionale piena di falle e non condivisa passi.
Entra nel merito, Parisi.
Non si limita a ostracizzare il nemico.
Quello, continua, dev’essere un No “riformista”: i cambiamenti alla Carta Costituzionale sono necessari per questo Paese, e qualora cadesse il governo, è fondamentale che il successivo porti in essere delle riforme, magari aumentando il ruolo del Presidente del Consiglio.
Rivendica la possibilità di creare una Costituente, in grado di stabilire le nuove regole da tutti condivise, e boccia il nuovo Senato, marcato dai più come una “suocera che dà opinioni non richieste”, proponendo una camera alta regionale, con proprie e distinte competenze, in stile Bundesrat tedesco.

Piace anche quando, tra le trappole poste dai giornalisti in studio circa l’opportunità o meno di dimettersi da parte dei politici indagati, risponde che ciò dipende dal tipo di reato, allontanandosi dal giustizialismo grillino e dall’eccessivo garantismo di alcuni suoi colleghi.

Tutto semplice quindi? Niente affatto!
Non mancano i nemici al progetto: il primo è Brunetta, l’economista veneto sembra detestare chiunque si avvicini troppo alle grazie di Silvio Berlusconi e l’ha già accusato di voler dar vita a una “melassa centrista”. Anche Toti e Romani guardano con preoccupazione l’Opa lanciata dal’ex candidato sindaco di Milano al Centrodestra, ma i più turbati sembrano essere  Salvini e la Meloni, i veri beneficiari , in termini di voti, dell’eclissi di Forza Italia.
La prima ha già messo in guardia tutti da un possibile partito dell’inciucio che potrebbe verificarsi, con Parisi pronto a sostenere Renzi qualora ad ottobre vincesse il No - ipotesi comunque smentita con forza dallo stesso interessato -.
Di marmellata, invece, ha parlato il leader del Carroccio, intervenendo a Radio Padania così: “Se qualcuno pensa di coinvolgere me o la Lega in un’alleanza con Verdini, Alfano, Cicchitto, Tosi, Passera ecc. ha sbagliato indirizzo. Per me il discrimine della prossima alleanza sarà la politica estera: chi vuole la Merkel, difende a spada tratta l’euro o tifa Hillary Clinton non può stare con la Lega. Se Parisi è un riorganizzatore di Fi va bene ma se qualcuno pensa di far digerire alla Lega alleanze indigeste, io non ci sto”.  

Insomma, non sarà una passeggiata quella che attende Parisi, il quale, a detta di molti osservatori politici, paga un’altra colpa, forse la più grande: quella di avere poco carisma.
La forza di Belusconi e Renzi, i leader che hanno governato - o si apprestano a governare- per più tempo l’Italia negli ultimi anni, è stata quella di sviluppare una certa empatia con parte degli italiani: tipi come Letta o Monti, competenti ma non esattamente dei trascinatori di folle, han avuto vita breve.
Questo, però, non può essere considerato un difetto: a un leader si chiede di governare bene, non di raccontare barzellette al Parlamento Europeo.
Per quello abbiamo già dato e in parte stiamo dando.

 

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Articolo pubblicato il 03/08/2016