Il più grande fallimento di Obama.

Dopo otto anni la questione razziale negli USA è più viva che mai.

Riavvolgiamo per un attimo il nastro della Storia, quella con la S maiuscola.
Mandiamo indietro fino al 2008, anno della vittoria di Obama sul repubblicano John Mc Cain.
I giornali di tutto il mondo in quell’occasione celebrarono con il giusto tributo il trionfo del primo presidente afro della loro storia: il Pese del Ku Klux Klan, di Martin Luther King, delle discriminazioni salariali e sociali aveva eletto un presidente nero.
Tutti gli osservatori, nazionali e non, erano pronti a giurarlo: il tema della pelle era finalmente alle spalle, puff, sparito come per magia, e Obama ne era il testimonial perfetto.

Ora facciamo un salto in avanti di otto anni, più o meno a inizio luglio del 2016.
Dallas.
La storia la conosciamo tutti.
Micah Xavier Johnson, 25 anni, con una solida preparazione militare alle spalle, ha aperto il fuoco contro i poliziotti che stavano vigilando a una manifestazione in sostegno delle vittime di colore.

Cinque agenti uccisi – per le forze dell’ordine americane si tratta della peggior strage dalle Torri Gemelle in poi – nove feriti, diversi fermati, con l’attentatore ucciso da un robot killer mentre era barricato all’interno di un garage.
Motivo? L’odio verso i poliziotti, rei di sparare con troppa facilità verso le persone di colore.

Quella dell’altra sera è solo la punta dell’iceberg ; ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti nell’ultimo periodo è qualcosa di epocale: abbiamo visto poliziotti sparare verso neri a Ferguson, Cleveland e New York.
In molti casi la vittima è poi risultata inoffensiva, o quantomeno non così pericolosa da portare a quella reazione da parte dell’agente. Ciò ha scatenato rabbia in tutto il Paese: da a Brookylin a Washington, passando dalla California, sono state poche le aree in cui non si sia registrata rabbia afro nei confronti delle autorità.

E Obama?
Da parte sua non sono mancati gli accorati appelli all’unità, i messaggi alla Nazione - celebre quello di Selma del 2015-, i gesti simbolici, spesso legati al mondo del basket, sport da sempre vicino al mondo afro.
Ma di concreto c’è stato poco.
Passi la promessa , mantenuta in parte, di dotar e di microtelecamere le divise degli agenti in servizio, così da capire meglio le dinamiche degli incidenti: ma ciò non ha evitato nuovi morti.

Esattamente due anni fa, a pochi giorni dall’omicidio del ragazzo diciottenne nero Michael Brown da parte di un poliziotto a Ferguson, Obama disse che gli ultimi due anni del suo mandato  avrebbero riservato “significativi passi avanti” circa la questione razziale.
Così non è stato.

I dati dicono che negli Usa non c’è uguaglianza.
Non c’era prima di Obama e non c’è ora, dopo due mandati e otto anni da Presidente.  Basta dare un’occhiata all’interno dei prestigiosi college americani: solo il 5% degli studenti è nero, e la percentuale dei professori si ferma addirittura al 3%.
Le differenze razziali si evidenziano in ogni campo, da quello dell’istruzione, a quello del reddito, passando da quello professionale.
Inevitabilmente ciò si riflette anche su quello giudiziario: nelle carceri Usa per ogni bianco ci sono tre neri; proprio loro hanno nel 64% dei casi come vittima un bianco.

Un nero ha tre volte la possibilità di ricevere una pallottola in fronte rispetto a un suo coetaneo bianco, e negli ultimi anni praticamente nessun poliziotto è stato incriminato (nel 97% dei casi il giudice non ha ritenuto colpevole l’azione dell’agente).
I dati possono essere oggetto di discussione: si può affermare che i neri sono più colpiti perché maggiormente responsabili di reati, così come controbattere che causano più reati perché si trovano in un sistema, quello americano, che offre loro meno possibilità di emancipazione.
Lo scopo dell’articolo non è dare la ragione a una delle due parti, puntando il dito contro l’altra, bensì fornire un quadro veritiero della situazione negli Usa.

Obama poi, ha sempre indicato come nell’eccessiva facilità di comprare armi da fuoco una delle cause che avrebbero portato a tutte queste stragi. Nel corso del suo mandato si è con forza battuto per far approvare dal Congresso una legge che ne limitasse la vendita, almeno di quelle d’assalto nei supermercati.
La battaglia è stata persa.

Certo, qui dare la colpa al Presidente appare un po’ più complesso; si sa che la lobby delle armi negli Usa è potentissima, mettiamoci anche i numeri risicati in Parlamento- aggravati dalle recenti elezioni di Mid Term-  e il diffuso attaccamento al secondo emendamento della Costituzione, ossia la libertà dei cittadini americani di difendersi, e il gioco è fatto.

Un sintomo dell’incapacità di Obama di dare risposte in tal direzione può essere misurato anche con l’avanzata di Donald Trump, candidato repubblicano in origine poco credibile, ma che grazie alle sue posizioni nette contro l’immigrazione messicana e il mondo musulmano, sta guadagnando consensi e chance per la vittoria alla Casa Bianca.

Insomma, l’operato generale di Obama sarà valutato dai posteri in maniera controversa e, sono convinto, ci saranno posizioni discordanti sulla sua politica estera, economica e sociale .
Potrà essere valutato con successo o meno l’Obamacare, le politiche anticrisi - l’America è ripartita dalla crisi da lei stessa generata con più vigore e velocità rispetto ai ritmi da bradipo targati Bruxelles- , e l’atteggiamento in Medio Oriente.
Su una cosa ci sarà poco da discutere: il fallimento sulla questione razziale.
Il tema, che sembrava il più semplice da affrontare, è scoppiato in tutta la sua crudeltà a pochi mesi dal voto, e per il Presidente non ci sarà altro da fare che prendere atto di questa sconfitta.

Questo, oltre ciò, ci insegna come non basti mettere a capo un esponente di un gruppo sociale considerato discriminato per garantirne il pieno riscatto sociale.
Vale anche per le donne, capito Hilary?

 

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Articolo pubblicato il 10/07/2016