Brexit: ecco perché si potrebbe rivotare.

I motivi che potrebbero portare Londra a un inaspettato passo indietro.

La notizia circola nell’aria da giorni, esattamente  tre. Ossia da quando è stato reso pubblico il risultato del  referendum sull’uscita dall’Unione Europea.
Un secco 52% - 48%  che nessuno si aspettava.
Soprattutto le Borse e le Piazze Affari di mezzo mondo, sorprese a festeggiare con clamorosi rialzi prima dell’inaspettato esito, poi colate a picco di fronte all’amara realtà.

E così gli intellettuali, nostrani e non, sbalorditi anch’essi dal voto di giovedì, hanno iniziato ad analizzare il risultato uscito dalle urne con sofismi e teorie parzialissime, in modo da giustificare una possibile ripetizione del referendum.
Severgnini , uno che è sempre stato ossessionato dal sogno europeo, ha provato a contestare l’esito teorizzando il paradosso dei giovani, ossia il fatto che i ragazzi sotto i 25 anni abbiano votato in larga parte per rimanere in Europa, mentre gli anziani no.
Il paradosso, a detta sua, sta proprio nel fatto che i giovani saranno costretti in futuro a subire le decisioni prese dai loro nonni, i quali, bene o male, i conti con il presente li hanno già fatti.

La tesi, che serpeggia da ore in rete, è condivisa ma non del tutto condivisibile.
Infatti si può contestare ai giovani di non essere mai vissuti o comunque di non aver avuto la percezione di un Regno Unito fuori dall’Europa, cosa che molti anziani hanno, così da poter fare raffronti con i due sistemi.
Poi si dà per scontato che il voto degli anziani valga meno di quello giovane: ma in qualsiasi sistema, da quello primitivo a quello attuale, non è riconosciuto ai più grandi il dono della saggezza?

Ancora, Enrico Letta, dalla Francia, ci da un’ulteriore chiave di lettura di questo dato: degli under 24, solo il 36 % si è recato alle urne per votare, mentre nella fascia oltre i 65 anni han votato circa l’86% degli aventi diritto.
Due giovani su tre se ne sono fregati, inutile insistere su questo presunto scontro generazionale.

Un altro valido motivo che potrebbe portare alla ripetizione del referendum riguarda la possibile disintegrazione del Regno: a parte il Galles, sia la Scozia che l’Irlanda del Nord hanno votato in maggioranza per restare.
Anche qui, sembra ci si arrampichi sugli specchi: il Regno Unito è unito anche per ciò che riguarda l’esito delle votazioni, ed è normale che i singoli stati debbano accettare il responso generale.
Sappiamo tutti che nel ’46, quando ci fu da scegliere tra Monarchia e Repubblica, varie regioni del Sud votarono in massa per i Savoia; tuttavia la vittoria repubblicana non portò a disgregazioni in tal senso.

Inoltre, il referendum sull’indipendenza scozzese si è svolto appena un anno e mezzo fa, facendo prevalere chiaramente la volontà del popolo locale di restare unito agli inglesi.

Vari giornali, poi, avrebbero sottolineato come gran parte dei laureati avrebbero optato per il Remain, mentre l’elettore medio del Leave sarebbe meno istruito: a parte che sono affermazioni difficilmente affermabili - uno nel segreto dell’urna può votare differentemente da quanto dichiarato ai sondaggisti-, ma poi il significato del referendum è quello di chiedere un parere all’intero popolo, non a una classe èlitaria e ristretta di esso.
Alcuni analisti italiani che hanno provato a legare il Leave a un atteggiamento razzista e arretrato espresso da una parte della popolazione. Noi che accusiamo la patria dell’integrazione e del progresso di ciò è, semplicemente, ridicolo.

Infine ci sono quelli che amano declassare il voto di giovedì come una sorta di sbronza collettiva: interviste in cui chi ha votato Leave pare dubbioso, articoli che evidenziano come la ricerca più cliccata su Google il giorno dopo il referendum sia quella inerente alle conseguenze e gli eventuali danni che comporterà l’uscita dall’Europa.
L’impressione che si vuole far passare è che la gente abbia votato inconsapevolmente, quasi sotto effetto di stupefacenti: ma è troppo comodo mostrare qualche intervista selezionata accuratamente spacciandola come campione rappresentativo per gli oltre 17 milioni di votanti che si sono espressi per l’uscita.

Il giudizio sul voto, marchiato da molti come antistorico, sbagliato, e aberrante ha il merito di evidenziare il parere che alcuni presunti intellettuali hanno sul referendum. Ossia lo strumento ideale per confermare un pensiero condiviso, ma che perde di valore quando lo si contraddice.

A tal proposito è stata indetta una petizione sul sito del Parlamento inglese per far si che venga indetto un nuovo referendum sull’uscita dall’Unione.
Non è una cattiva idea.
Si potrebbe rivotare. Una, due , dieci volte.
Almeno fino a quando non si ottiene il risultato sperato.

 

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Articolo pubblicato il 27/06/2016