Con questi occhi. Con queste mani. Con questo cuore. Con tutto l’amore che ho potuto

Il libro di Antonio Savoldi č recensito da Andrea Biscŕro

Presento molto volentieri ai Lettori di “Civico20News” la recensione del libro di Antonio Savoldi scritta dall’amico Andrea Biscàro (m.j.).

 

Storie ordinarie di infernali illusioni


Ragazze e ragazzi in caduta libera, salvati allo scadere del tempo


 

Il XXIX Salone Internazionale del Libro ha consentito alle Forze dell’Ordine – grazie allo «Spazio Autori» curato dalla Questura di Torino – di presentare non soltanto dei libri, ma la parte migliore di sé, ossia quella forza interiore – scevra da trionfalismi e retorica – che guida l’azione di uomini e donne in divisa, calati nel quotidiano che non fa sconti.


Il 20 maggio è stata recensita la lucida e coraggiosa opera della dott.ssa Silvia Gentilini, a capo del Commissariato di Faenza, Parola alla Polizia – la comunicazione efficace nella Polizia di Stato. Ora è la volta di un lavoro dal taglio completamente differente, Con questi occhi. Con queste mani. Con questo cuore. Con tutto l’amore che ho potuto (Marna editore) di Antonio Savoldi, dal 2008 in forza presso la Sezione di Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica di Brescia.


«Le pagine di questo libro – recita la terza di copertina – sono la visione disincantata di realtà giovanili al “limite”. Storie di anoressia, bulimia, abuso di alcol, uso di sostanze stupefacenti, ludopatia, violenza familiare… dove i protagonisti sono gli adolescenti. Lo stile asciutto, privo di fronzoli, quasi crudo, è lo stesso usato dai ragazzi nel loro narrare».


Si tratta di otto storie che hanno per protagonisti i giovani entrati nella comunità di recupero Shalom a Palazzolo sull’Oglio, nel bresciano, fondata e guidata da Suor Rosalina.


Questo è un libro che si legge, si vede e in qualche modo si partecipa.


E sì… perché la crudezza espressiva colpisce il lettore che, obbligatoriamente, si immagina la scena… e non è un film. Siamo di fronte a vite sconvolte dalla mancanza di ascolto, di attenzioni. Di amore. La reazione a queste mancanze sta nell’impegnare la strada sbagliata, quella che ti fotte, per dirla con lo stile dell’opera.


«Tutte le storie – ci spiega l’autore – hanno un comune denominatore, un viscido collante: la droga. “La droga è una mamma che non ti sgrida mai, ti dice sempre sì”.


La droga lenisce il dolore e fa dimenticare la parte più debole dell’individuo catapultandolo in un mondo surreale dove, improvvisamente, da anonimo incapace del vivere diventa protagonista. Chiedo ai ragazzi perché hanno usato la droga. La prima risposta è unanime:


Perché quando la prendo sto bene”.


È vero. È innegabile, indiscutibile; diversamente non vi farebbero ricorso. […]


Tutti gli effetti degli stupefacenti hanno la prerogativa di far fuggire dalla realtà che non si è capaci di affrontare, di reggere. La droga allontana la percezione di debolezza, di inettitudine, di criticità, dal soggetto che l’assume. Cancella la paura del non riuscire a farcela a superare il momento sfavorevole laddove, invece, gli viene chiesto di tirar fuori la propria personalità e la fermezza di carattere. La droga spiana la strada della non fatica e azzera le differenze tra gli individui rendendoli tutti uguali, ponendoli tutti sullo stesso piano.


Nelle dinamiche del mondo della droga non vi è il bisogno di sbattersi per dimostrare quel che si è: a nessuno viene chiesto di essere; basta apparire uniformato agli altri. La droga è, fondamentalmente, prima di tutto, l’annientamento dell’io in quanto individuo discernente, e rappresenta il substrato ideale e fertile per tutte le devianze.


Drogarsi equivale a non sentirsi responsabili del proprio essere e del proprio agire».


Le spiegazioni, si sa, spesso non servono.


Lo abbiamo sperimentato quando eravamo adolescenti.


Antonio Savoldi non sta a spiegare più di tanto. Analizza, questo sì, e lo fa con lucidità, senza facili moralismi che maleodorano di vacuità, inascoltati dai giovani: quelli inseriti in un contesto “normale” non sopporterebbero (e non sopportano) i predicozzi di ogni “parrocchia”, incapaci di prendere la testa, la pancia ed il cuore dell’adolescente. Figuriamoci l’effetto che farebbero – e fanno – sui giovani a rischio, inseriti in realtà di violenza familiare, fisica, sessuale, psicologica!


Questo libro rappresenta un anomalo pugno nello stomaco, che non colpisce, ma accarezza.


La dedica che Antonio Savoldi mi ha donato, riassume il senso della sua fatica letteraria:


«Andrea, non smettere mai di raccontare ai giovani quanto il mondo abbia bisogno del loro sorriso».


In queste storie – dove i protagonisti mettono a nudo ogni cosa, situazione, persona che raccontano, in primis essi stessi – colpiscono i dettagli, segni tangibili della caduta verticale causata dalla droga.


«Agli incontri mensili con gli assistenti sociali – racconta la protagonista della terza storia – sono sempre attenta e perfetta per non farmi sgamare. In realtà sono nel baratro interiore più totale. Povera nonna; è lei per prima a pagarne le conseguenze. La cosa più importante che le rubo, oltre alla pensione, al contante e all’oro che dimentica sui vari comò di casa, è la fede di matrimonio del mio defunto nonno che tiene al dito anulare a fianco della sua. È difficile sfilargliela senza che se ne accorga. Idea: sonnifero. Non la ritroverà mai più: venduta a chissà quale ricettatore di basso fondo. Pazienza. Ha creduto a tutte le mie bugie: le ho rubato tutto, anche l’amore vero che mi ha donato. Scusa nonna».


Non sappiamo se la nonna l’abbia scusata, ma lei è entrata alla Shalom e ci auguriamo si sia riconciliata con sé stessa.


Per tanti giovani salvati, quanti i perduti?

 

Quante le vite finite in qualche angolo indegno delle nostre metropoli, sia esso un bagno di una discoteca, un cesso d’una stazione, una casa che casa non è?


Questa recensione è rivolta ai giovani, la copertina stessa è un segno d’amore per loro, in particolare per quelli “sani” che coesistono con quelli a “rischio” e, potenzialmente, lo sono, lo siamo un po’ tutti a “rischio”.


Questa recensione è rivolta agli educatori, perché non istruiscano soltanto.


È un libro da leggere, da regalare, da diffondere, da sottolineare e commentare con forza, senza remore, senza pudore, perché parla di bivi, di wrong turn, di selve oscure, di Cappuccetto Rosso ai limiti del bosco...


«La droga è merda – è solita dire Suor Rosalina – e quando pesti la merda, ti sporchi».


Che l’opera di Antonio Savoldi possa aiutare tanti giovani a non pestarla o a non pestarla più…

 

Andrea Biscàro

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Articolo pubblicato il 13/06/2016