Chi ha Paura di Mr. Trump?

Marco Zaia per “Civico20”

Uno spettro si aggira per gli Stati Uniti: ha il toupet (ma lui giura di no) e i modi di fare rozzi, misogino e guerrafondaio, ed è celebre per le sue gaffe, ha contro i media di mezzo globo e gran parte del suo partito e, soprattutto, sarà il candidato repubblicano per la corsa alla Casa Bianca.

Lui è Donald Trump, magnate americano, anzi tycoon, come si dice da quelle parti, che qualche mese fa, con modi da avanspettacolo, ha annunciato l’intenzione di voler concorrere alle primarie tra le file repubblicane. Ovviamente la cosa ha scatenato l’ilarità dei più: l’ennesima trovata di un uomo che nella sua lunga carriera di imprenditore non ha mai smesso di far parlare si sé.
Nessuno si aspettava che tra i sedici candidati partiti con l’obiettivo di contendersi la nomination per il voto dell’8 novembre , la spuntasse lui.

Certo, qualche suo sostenitore italiano farà gli scongiuri, la corsa alla nomination è ancora aperta, ma le possibilità di un ribaltamento del voto verso il governatore dell’Ohio Kasich o Ted Cruz sono al lumicino.
Facendogli due conti in tasca,Trump è salito a 916 delegati, e considerando l’en plein di martedì scorso, la media dei suoi consensi (circa del 60%) e il traguardo alla portata (obiettivo 1237 delegati),  è del tutto ragionevole affermare che a contendere lo scettro di prossimo Presidente Usa alla Clinton ci sarà lui, Mr Donald.
Dunque, se per Hilary il pronostico è stato tutto sommato rispettato per Trump si è trattato di un risultato inaudito, qualcosa che andava contro ogni logica previsione.

E tutto ciò è ingigantito dal fatto che questa marcia trionfale è avvenuta non solo con tutti i media contro, ma ha visto il suo stesso partito opporsi a una sua avanzata.
E perfino il Papa ha avuto un duro scontro sul significato dei muri e sull’importanza che i due danno a essi: non è un segreto l’intenzione del miliardario americano di creare un muro al confine con il Messico per limitare l’afflusso di immigrati all’interno del Paese, idea che fa a pugni con la volontà di apertura di cui è sostenitore Francesco I.

La Trumpfobia, neologismo inaugurato per l’occasione dall’autore dell’articolo, che rimanda alla paura diffusa di una vittoria del magnate americano, ha già contagiato giornali importanti, come il britannico “Economist” che ha inserito la vittoria del tycoon tra le 10 peggiori catastrofi che potrebbero colpire la Terra in un prossimo futuro. Tra le cause, la sua avversione verso la politica liberoscambista americana che, se limata, porterebbe a gravi crisi nel Paese -vorrebbe rivedere gli accordi commerciali soprattutto con la Cina-, ma anche le criticità che verrebbero a crearsi in Medio Oriente: le sue posizioni guerrafondaie e autoritarie sono note a tutti.
Per la cronaca, al primo posto han messo il crollo dell’economia cinese.

Anche alcuni analisti di Down Jones si sono affrettati ad allarmare l’ambiente: una sua vittoria potrebbe portare le azioni americane a crollare del 50% nel giro di pochi anni.
A rincarare la dose ci ha pensato persino l’ex direttore della Cia Michael Hayden. "Sarei estremamente preoccupato se il presidente Trump governasse in modo conseguente con il linguaggio usato dal candidato Trump durante la campagna", intervenendo a un talk show durante il quale sono state ricordate alcune prese di posizione del candidato presidente, tra cui il suo invito ad intensificare l'utilizzo della tortura e quello di uccidere i famigliari dei terroristi per scoraggiare nuovi attacchi contro gli Stati Uniti, pratica espressamente proibita dalla Convenzione di Ginevra.

Si diceva che anche il Partito Repubblicano rema contro: bene, dopo aver pensato per mesi che bloccare Trump non fosse un loro problema, la classe dirigente del partito ora è nel panico. Stuart Stevens, stratega della campagna elettorale di Mitt Romney nel 2012, ha scritto sul Daily Beast che “un voto a Trump è un voto a favore del fanatismo”.

Per il povero -si fa per dire - miliardario non c’è pace nemmeno sul fronte dello spettacolo: dalla sua pagina Instagram la star dei teenager Miley Cyrus  ha sbottato. "Trump è un fot**to incubo. Sto per vomitare, se vince io me ne vado”: l’attrice sembra essersela presa per alcune dichiarazioni sessiste pronunciate dal magnate.

E fidatevi, mi sono limitato a raccogliere solo alcune delle tante dichiarazioni di persone che si sono schierate contro Trump. Basta andare su Google,scrivere “se vince Trump negli Usa” e le pagine contro non si contano. Petizioni, appelli, offese, ingiurie: si è sviluppato un vero e proprio microcosmo contro la sua possibile vittoria.
Trump non sembra piacere neanche al popolo nostrano, o almeno, alla gran parte.
Se è vero che non è mai stato morbido contro gli immigrati , anche quelli italiani, non è passato inosservato un suo tweet con chiaro riferimento alle parole del Duce -meglio un giorno da leone che cento da pecora-.
E cosa dire della foto che Salvini ha postato via Facebook al suo fianco: di solito si sprecano i commenti a favore del segretario della Lega, ma in quel caso sono state evidenti le critiche al personaggio.

Il tycoon, inoltre, è celebre anche per le gaffe che si possono trovare a bizzeffe in rete: Islam, messicani, cinesi sono i suoi obiettivi preferiti. Addirittura una in favore della chiusura di internet in alcune aree del mondo, a suo modo di vedere complice per l’arruolamento dell’Isis.

Altro tweet che creò non poche polemiche fu quello rivolto  alla Clinton , per cui Trump scrisse serafico “if hilary clinton can't satisfy her husband what makes her think she can satisfy America? con il chiaro riferimento alla vicenda a luci rosse che coinvolse il marito Bill e la segretaria Monica Lewinski.
Tutta roba che messa in bocca a qualsiasi altro candidato avrebbe generato presa sul pubblico, e una conseguente ritiro dalla corsa, ma con lui non succede.
Anzi, sembra prevalere l’effetto opposto.

La domanda viene spontanea allora: come fa a piacere? Come fa a ricevere tanto consenso?
La risposta va ricercata in più ragioni: Trump piace perché è diverso dai soliti politici, vive fuori dai classici schemi e il suo motto “Non lo faccio per i soldi. Ne ho già abbastanza, più di quelli che mi potrebbero mai servire” la dice lunga sul suo disinteresse verso la ricchezza legata a una carriera politica.

Inoltre egli gode di grande copertura mediatica: le dichiarazione, le gaffe, le contestazioni portano a parlare di lui, a condividere le sue imprese,  ad applaudirlo o a fischiarlo, insomma a una reazione. Ed è esattamente quello che la gente vuole:  in un mondo basato sul politically correct e le dichiarazioni diplomatiche di facciata, colui che rompe la noia vince.
Linguaggio spiccio, certo, ma di successo. Piace quando parla a brutto muso dell’Islam o della precedenza sul lavoro da dare agli americani. Spesso è un parlare alla pancia delle persone, sempre più spaventate dalla minaccia del terrorismo ma dove sta scritto che è sbagliato?
Noi in Italia, con Renzi, Grillo e Salvini possiamo dirci esenti da questo?

Mettiamoci l’aurea del self made man, l’imprenditore che è arrivato a farsi una fortuna con le sue mani, dando lavoro e finendo per diventare un modello sia per l’operaio che per la classe più agiata.
A questo aggiungiamoci la crisi dei partiti tradizionali di cui gli Stati Uniti non sono immuni, l’idea che rappresenti l’anti-casta e la delusione verso la politica di Obama e avremmo tutte le spiegazioni del fenomeno Trump.

 

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Articolo pubblicato il 29/04/2016