Da Roma all’Italia, il vuoto di potere che condanna il Centro destra.

Articolo di Marco Zaia per "Civico20"

Qualcosa di grottesco sta capitando nella Capitale, se ne sono accorti tutti, eppure nessuno sembra aver la voglia, o il buon senso, di fare un passo indietro.
Dando una sbirciata ai sondaggi, si vede come Virginia Raggi e Giachetti siano rispettivamente prima e secondo, mentre dietro, con percentuali tutt’altro che basse, si accodano la Meloni, Bertolaso e Marchini. Tre esponenti facilmente definibili come di centro destra.
Il vero paradosso è che, stando sempre alle intenzioni di voto dei romani, la percentuali dei tre di destra, sommata, sarebbe di gran lunga superiore a quella di qualsiasi altro candidato.

Presentandosi divisi, invece, rischierebbero di strapparsi voti a vicenda, finendo di favorire il duo Raggi Giachetti, liberi di giocarsi in tranquillità il ballottaggio. Un autogol palese, un errore che nemmeno negli anni della balcanizzazione estrema a sinistra si sarebbe verificato, ma che dopo la conferma da parte di Berlusconi della candidatura di Bertolaso, sembra del tutto probabile.

Le cause di questa incapacità nel presentare un uomo comune, sostenuto da tutti hanno radici più profonde e sono da ricondurre essenzialmente al vuoto di potere che pare essersi creato nell’area politica una volta tenuta insieme dal Cavaliere.

Proprio il suo declino, pare aver dato il via libera ad alcuni partiti, come Lega e Fratelli d’Italia, una volta considerati fedeli alleati, mentre ora ambiziosi e autonomi soggetti politici.

Una delle colpe che viene mossa al Cavaliere è quella di non essere riuscito a tirare su un leader in grado di prendere le redini del Centro destra, un delfinio in grado di radunare sotto la sua guida tutti i moderati del Paese.
Alfano, Fitto, Del Debbio, Marina, Piersilvio,  Follini, Formigoni, il primo Renzi, Brunetta, la Carfagna, sono solo alcuni dei nomi associati a Palazzo Grazioli, senza alcuna conferma.
In molti casi si à trattato di forzature giornalistiche, in altri di flirt passeggeri, tuttavia nessuno ha avuto la capacità e il carisma di sostituire Berlusconi nel cuore degli elettori, dando in qualche modo ragione a coloro che reputavano Forza Italia un partito personale.

Chiaro, i nomi su cui si è puntato maggiormente sono stati Fini e Casini, entrambi ormai ai margini della politica nazionale, ma un tempo designati come possibili leader di quell’area che, ha definito Berlusconi, potenzialmente può contare sul maggior numero di voti.
Con Casini la rottura fu evidente quando il primo cercò gloria attraverso la creazione  del Terzo Polo, a posteriori un fallimento politico, che comportò la sparizione dell’Unione di Centro dai radar dell’allora Popolo Delle Libertà.
Con Fini, è il caso di dirlo, volarono gli stracci: chi non si ricorda di quell’assemblea del PDL del 2010 dove l’allora presidente della Camera gridò al Premier il celebre “Che fai? Mi cacci?” sancendo la definitiva rottura tra i due, al culmine di due anni carichi di tensione e frecciatine.

Ora, a distanza di 5 anni, fa sorridere vedere l’ex An fare qualche comparsata in tv, cercando di rientrare in qualche modo nella politica che conta e ipotizzando creazione di partiti dalle probabili percentuali di prefissi telefonici, per citare Grillo.
Tuttavia, se Atene piange, Sparta non ride. Forza Italia, nonostante il ritorno al nome originale e il restyling del logo, pare ancorato a un deprimente 10 %, schiacciato dalla Lega di Salvini e dalla crescita, seppur moderata a livello nazionale, di Giorgia Meloni . E la cosa più sconcertante è che di facce nuove proprio non se ne vedono all’orizzonte.

Il problema di FI però, non sembra essere esclusivamente di leadership: emorragia di elettori  e politici (con i fedelissimi Bondi e Verdini che scappano tra le rassicuranti braccia di Renzi), divisioni interne, falchi e colombe, difficoltà nel parlare a un elettorato che pare distratto dalla maggiore esuberanza, anche verbale, della Lega o dalle politiche, molto simili di Centro destra,  di Renzi. 
E la carta d’identità, impietosamente segna 1936: ottant’anni e più di una bega giudiziaria cui far fronte. Forse troppo anche per un uomo che ha comunque dimostrato di avere una tenacia fuori dal comune, basta guardare la spumeggiante rincorsa alle elezioni del 2013.

Una bella matassa da dipanare, specie se si pensa a quello che era Forza Italia nel 1995, un partito forte e solido che poteva contare su alleanze durature (An, Lega su tutti) e con una unico capitano,  il collante che, fa notare dalle colonne de “Il Giornale” Veneziani, oggi manca e che era indispensabile per tenere unita tutta l’area.

E così il problema di una leadership forte si è trascinato anche a Roma, con Berlusconi che prima aveva designato Marchini, moderato e proveniente dal mondo civile che però proprio non piaceva alla Meloni, poi ha virato su Bertolaso, uomo del fare con diverse medaglie e qualche spettro giudiziario.
Questo can can non è andato giù alla Meloni, che nel frattempo ha deciso di concorrere per la carica di Primo cittadino: per ora i sondaggi le stanno dando ragione, e l’avanzata della leader di Fratelli d’Italia nei sondaggi è cosa nota.

Come andrà a Roma nessuno può saperlo, ma resta per il Cavaliere la spinosa questione del successore.
Lui si è sempre schierato contro le primarie, strumento troppo aleatorio e condizionabile, e non vede né la Meloni né Salvini alla guida di quell’area moderata.
In una recente intervista a Porta a Porta ha dichiarato a Bruno Vespa che "Per trovare il nuovo leader del centrodestra ci vorrà del tempo", anche se proprio il tempo pare giocare contro: mancano due mesi alle amministrative e meno di un paio d’anni alle Politiche.
La prospettiva di trovarsi in poco tempo con tutte le più grandi città e i centri di potere a marchio Pd-M5S è alta: i danni di questo vuoto di potere potrebbero essere molto ingenti per il Centro Destra.

 

 

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Articolo pubblicato il 26/04/2016