Gli Italiani di Crimea

Storia di una deportazione dimenticata

Nella non ancora limpida e definita situazione legata  al conflitto in Ucraina è doveroso parlare di un aspetto abbastanza ignoto e ignorato che riguarda l’Italia ed una minoranza di persone legate  alla nostra nazione.

E’ oramai assodato che il XX° secolo è stato anche il periodo degli stermini di massa. Tra i meno noti bisogna inscrivere quello degli Italiani di Crimea.

La presenza Italiana nella penisola di Crimea è attestata già in epoca medioevale con la costituzione di colonie e di empori commerciali della Repubblica di Genova. In epoca zarista si ebbe l’inizio di un vero e proprio flusso migratorio di famiglie provenienti in particolar modo dalla Puglia che si stabilirono in varie città bagnate dalle acque del Mar Nero: Feodosia (l'antica colonia genovese di Caffa), Simferopoli, Odessa, Novorossijsk e Batumi.

L’immigrazione di Italiani in Crimea era stata favorita alla fine del 1800 ed all’inizio del Novecento dalle autorità imperiali russe per sviluppare le attività ittiche e quelle agricole con la coltivazione di vigneti e la produzione di vino

La vita delle varie comunità presenti sul territorio Russo entrò in crisi dopo l’avvento del comunismo e con lo scoppio della seconda guerra mondiale. In un primo momento ci furono repressioni, perquisizioni, arresti ed epurazioni fino alla collettivizzazione forzata delle terre e l’internamento nei Kolchoz (proprietà agricole collettive). Questo nuovo atteggiamento provocò il rientro di molti Italiani in madrepatria.

Nel 1941 i Tedeschi invasero l’Unione Sovietica e iniziarono a stilare l’elenco delle famiglie Italiane sospettate di essere di origine ebraica per il loro aspetto fisico tipicamente mediterraneo.

La riconquista dei territori persi da parte dell’armata rossa e le purghe Staliniane invece segnarono l’inizio del vero sterminio. Gli Italiani insieme ad altre minoranze vennero bollati come fascisti e collaborazionisti. 

Chi non venne processato sommariamente o fucilato subì la deportazione via terra o via mare fino in Kazakistan. Le condizioni di viaggio furono terribili, denutrizione e morte erano all’ordine del giorno.

Neppure con la morte di Stalin la minoranza Italiana non trovò pace, i pochi che tornarono in Crimea avevano perso le loro radici e per paura di ritorsioni dovettero rinunciare alla loro Italianità. Le condizioni di vita imposte dalle autorità sovietiche e il disinteresse dei comunisti Italiani e del nostro governo ha impedito loro di affermarsi negli studi  e nel lavoro o di fare ritorno in Italia.

Con  il referendum sull'autodeterminazione della Crimea del 2014 la penisola è ritornata ad essere parte della Russia e il 12 settembre 2015, il presidente Putin ha emendato il decreto che riconosce questa persone come minoranza perseguitata e deportata.

Attualmente gli Italiani di Crimea (almeno coloro che tali si dichiarano) sono più di trecento residenti soprattutto a Kerc e a Simferopoli e si incontrano nell'associazione "C.E.R.K.I.O." (Comunità degli Emigrati in Regione di Crimea - Italiani di Origine) i cui obiettivi sono sempre diretti in ambito storico culturale e nel riconoscimento dei loro diritti di minoranza e di Italiani.

Rimane quindi ancora aperto l’annosa  richiesta del riconoscimento della cittadinanza Italiana per i discenti delle famiglie sopravvissute allo sterminio che per motivi burocratici, politici ed economici non posso farsi carico di tale richiesta.

 Per chi volesse approfondire la storia della deportazione di questi nostri connazionali si consiglia la lettura di “L’olocausto sconosciuto: lo sterminio degli Italiani di Crimea” scritto da Giulia Giacchetti Boico e Prof. Giulio Vignoli edizioni Settimo Sigillo.

 

Dimitri Piccinini

 

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Articolo pubblicato il 15/04/2016