Viaggio allucinante

Facile entrare in crisi se la visione distorta sulle nuove tecnologie porta il pensiero nella direzione opposta a quello dei clienti

Fonte: Apogeonline.com

La storia della crisi di Lonely Planet è – tra le altre cose – anche la storia dell’insostenibilità economica e operativa di un certo modo di intendere il mestiere e la funzione dell’editore. È il modo a cui siamo abituati, quello con il prodotto al centro e i librai come clienti. In questo senso, questa è anche la storia della crisi di un modello di business, e come ogni crisi contiene indizi utili per uscirne; vivi, e magari più forti.

 

Jani Patokallio – che ora lavora per Google, ma che fino a poco tempo fa è stato Publishing Platform Architect di Lonely Planet – racconta sul suo blog un aneddoto interessante:

Più tardi, parlando con uno dei membri del team di sviluppo del prodotto – il team responsabile di immaginare i prodotti Lonely Planet del futuro – menzionai le potenzialità dei Google Glass, se indossati durante un viaggio. «Certo!» rispose lui con entusiasmo. «Immagina cosa succederebbe se qualcuno, leggendo le nostre guide con i Google Glass, potesse vedere gli ultimi aggiornamenti in sovraimpressione!»

E se le persone smettessero di comprare guide di viaggio, invece, cosa succederebbe?

Questo è il cuore della questione. Le persone hanno già smesso di comprare guide di viaggio – cartacee o meno – perché stanno trovando altri modi di venire incontro alle proprie esigenze. E la risposta giusta – come fa notare Patokallio in un altro passaggio – non è pubblicare le stesse guide come ebook o come applicazioni. È concepire un modello di business – e quindi di prodotto – con al centro le necessità e gli schemi di comportamento delle persone, non la necessità della casa editrice di preservare l’esistente, e dunque produrre, distribuire e vendere informazioni all’interno di un contenitore non più cartaceo, ma digitale.

La ragione che muove all’acquisto di una guida di viaggio è semplice: programmare un viaggio. Questa è la funzione chiave intorno a cui costruire prodotti e di servizi digitali e online per il turismo, e intorno a questa funzione esiste già una concorrenza piuttosto serrata, che è nata e si è rafforzata anche grazie alla scarsa capacità di visione e strategia delle case editrici. Chi possiede uno smartphone e sta per mettersi in viaggio potenzialmente non ha bisogno di niente, oltre la ragionevole certezza di avere accesso alla rete. Tutto il resto – contenuti, informazioni, servizi, indicazioni, itinerari, recensioni, consigli – è a disposizione: di sicuro in modo più frammentato, ma anche in modo molto più preciso, aderente alle precise necessità di un dato momento.

La sensazione è che il vantaggio competitivo fornito dalle guide di viaggio – informazioni verificate e di qualità, tutte nello stesso posto – sia più un frame, una cornice teorica all’interno della quale argomentare, che un vantaggio reale, esistente e verificato. Di sicuro è un vantaggio su cui puntare e argomentare se il proprio compito è commercializzare un prodotto. Se invece intendo sapere dov’è il ristorante migliore – quello più aderente ai miei desideri – dove cenare questa sera, cercare la risposta tra le pagine di un ebook – aggiornato tra l’altro e nel migliore dei casi solo in concomitanza con l’edizione cartacea – o di una applicazione che replica – in modo più o meno multimediale – i contenuti della guida non è necessariamente la scelta migliore, né quella in grado di soddisfare nel modo migliore le mie esigenze.

Se in giro c’è un altro prodotto o un altro servizio in grado di farlo, deciderò di usare quello, e di lasciar perdere la guida. Senza particolari rimpianti, e con buona soddisfazione.

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Articolo pubblicato il 25/07/2013