La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini
La notizia

Il borsaiolo e la commessa

Questa storia inizia, verso le cinque e mezza della sera del 6 dicembre 1867, in via Garibaldi quasi all’angolo con via XX Settembre, nella Chiesa della SS. Trinità, caratterizzata dal ripetersi del numero tre, con tre porte, tre altari e tre cantorie, come richiamo alla Trinità.

 

Passa di là Giacomo Trucco da Vado, anziano negoziante in generi di riviera, il quale proprio quel giorno ha riscosso undici mila lire in biglietti di banca che tiene nel portafoglio. Vedendo la chiesa illuminata da molti ceri e sentendo cantare gli inni sacri, Giacomo Trucco decide di entrare. Mentre si sta facendo il segno della croce, un giovane borsaiolo che lo ha seguito, gli mette la mano in tasca e gli prende il portafoglio.

 

Trucco se ne accorge e subito si mette a gridare disperatamente: «Ferma, ferma!, al ladro, al ladro!, dàlli, dàlli!» ma, tra la confusione dei fedeli, il giovane borsaiolo, agile e scattante, scappa col portafoglio.

 

Trucco lo insegue gridando sempre a squarciagola: «Ferma, ferma!, dàlli, dàlli!». I passanti si fermano, i negozianti escono dai loro magazzini, ma i lampioni non sono stati ancora accesi e le tenebre impediscono di vedere il fuggitivo.

 

Questi infila la stretta via del Seminario (via XX Settembre, tra la via Garibaldi e la piazza San Giovanni) e, giunto al successivo incrocio, prende la via ancor più stretta del Palazzo di Città, sempre inseguito da Trucco che non smette di gridare.

 

Quando il borsaiolo arriva sotto i portici che collegano la piazzetta del Corpus Domini con la piazza  Palazzo di Città, sia per essere più svelto, sia per distrarre l’attenzione di Trucco dall’abito che indossa, si toglie il pastrano e lo lascia cadere a terra. Prosegue la fuga verso i portiet, attraversa via Doragrossa (via Garibaldi), entra nella via San Francesco d’Assisi, tortuosa perché non ancora sottoposta ai lavori di allargamento e allineamento che le hanno conferito l’aspetto attuale.

 

Qui, per timore di essere fermato col corpo del reato addosso, il borsaiolo getta di soppiatto il portafoglio nell’oscura porticina n. 1, che si trova sulla sinistra. Pensa di fare un piccolo giro per aspettare che si siano perse le sue tracce e poi di tornare a riprenderlo. Ma quando il borsaiolo ritorna alla porticina non trova più il portafoglio.

 

Le commesse dal rinomato negozio di mode che la signora Carlotta Turò tiene in via Doragrossa, quando escono alla sera dopo la chiusura, utilizzano quella oscura porticina che si apre in via San Francesco d’Assisi. Verso le cinque e tre quarti di quella sera, il portafoglio viene trovato proprio da una di queste commesse, Teresa Borani, una bella ragazza di diciotto anni che, camminando, lo ha urtato con un piede.

 

Teresa lo raccoglie, rientra nel negozio, lo apre e, sbalordita, conta le undicimila lire.

Le colleghe consigliano a Teresa di tenersi il denaro trovato per utilizzarlo come dote per un buon matrimonio oppure per mettere su un bellissimo negozio, così da semplice commessa sarebbe diventata la “signora Borani”... Teresa però manifesta subito alle perplesse colleghe l’intenzione di restituire il denaro al legittimo proprietario: rientra a casa sua, dalle parti del ponte sulla Dora detto delle Benne, il ponte di corso Regio Parco, e consegna il portafoglio al padre, Michele Borani, onesto operaio che lavora come fabbro costruttore di serrature al Regio Parco.

 

Per cercare il legittimo proprietario, Michele Borani non termina neppure la cena. Chiude il portafoglio in un armadio e corre alla sede della «Gazzetta del Popolo» pregando il direttore di annunciare nel giornale il ritrovamento di undici mila lire. Va poi alla direzione della «Gazzetta Piemontese» ma la trova già chiusa.

 

Ritorna al mattino del 7 dicembre, molto presto, e prega il direttore di inserire lo stesso annuncio. Si reca infine al Palazzo di Città, all’ufficio di Polizia Municipale, per consegnare il portafoglio. L’ufficio non è ancora aperto ed il povero Borani aspetta per un’ora l’impiegato, al freddo, battendo i piedi in terra e soffiandosi sulle dita per scaldarsi.

 

Nel frattempo, il derubato Giacomo Trucco, perse le tracce del borsaiolo, si è recato in Questura per la denuncia ma non ha saputo dare nessuna indicazione sull’aspetto del ladro. Si è poi ritirato, tutto agitato, nella sua camera, si è messo a letto, senza dormire, ed ha trascorso la notte piangendo e travagliato da mille pensieri.

 

Alla mattina del 7 dicembre Trucco si alza, pallido, si veste macchinalmente e si mette a girare a caso per Torino. Più tardi, sente una venditrice, seduta al suo banco di piazza con un giornale in mano, che commenta  con un’altra donnetta l’annuncio del ritrovamento del portafoglio con undicimila lire: «Ci sono ancora ai nostri tempi degli imbecilli che consegnano somme così cospicue quando le trovano!».

 

Trucco, ascoltando questo discorsetto, riprende speranza: corre a comperare il giornale, legge l’annuncio, va all’ufficio del giornale, poi a casa di Borani ed in Municipio dove, infine, riceve il suo portafoglio col prezioso contenuto. Trucco vorrebbe compensare Michele Borani ma questi rifiuta, dicendo che ha fatto soltanto il suo dovere. Allora Trucco regala 550 lire (un ventesimo della somma ritrovata, come stabilito dalla legge) alla fortunata Teresa, che le accetta e si dimostra più contenta di aver ritrovato il padrone del denaro che del premio ottenuto.

 

La notizia della buona azione dei Borani padre e figlia compare nella cronaca cittadina della «Gazzetta Piemontese» del giorno 8 dicembre 1867.

 

Questa storia vera, che potrebbe comparire, senza sfigurare, nel libro Cuore di Edmondo De Amicis, è narrata dal cronista giudiziario della «Gazzetta Piemontese» al sabato 11 aprile 1868, quando il borsaiolo, dopo l’arresto, è stato processato e condannato.

 

L’arresto del borsaiolo consegue al ritrovamento del pastrano, da lui abbandonato sotto i portici della via del Palazzo di Città.  Questo pastrano è stato raccolto da un giovane muratore che, il 7 dicembre 1867,  lo consegna in Questura. Qui i poliziotti riconoscono subito il pastrano, che presenta una cucitura alla parte sinistra del copripetto, come appartenente a Giuseppe Pascal, nullafacente di ventidue anni.

 

Pascal da tempo era tenuto d’occhio dalla Questura perché non aveva mezzi di fortuna e viveva lautamente, senza lavorare. Era già stato arrestato più volte ma era sempre riuscito a sfuggire alla condanna al carcere del Pretore, prevista dalle norme del Regno d’Italia nei confronti di oziosi e vagabondi.

 

Qualche tempo prima, alcuni poliziotti lo volevano arrestare per farlo ammonire dal Pretore. Pascal aveva cercato di allontanarsi, i poliziotti dopo averlo inseguito, lo avevano raggiunto e, per arrestarlo, avevano dovuto lottare accanitamente: così il pastrano di panno nero di Pascal era rimasto strappato nella parte sinistra del copripetto.

 

Pascal, dopo l’arresto, era stato portato in prigione e, il 5 dicembre 1867, davanti al Pretore: questi lo aveva ammonito severamente perché trovasse un lavoro, poi lo aveva fatto rilasciare.

 

La mattina del 6 dicembre 1867, il giorno dopo il rilascio, Pascal, per ripararsi dal freddo pungente, era andato a recuperare il suo pastrano in Questura. Visto lo strappo, aveva chiesto con petulanza di essere risarcito del danno; al diniego del poliziotto, Pascal aveva risposto con una impertinenza e se ne era andato borbottando.

 

Questo è avvenuto nella mattina del giorno precedente: i poliziotti ritengono che Pascal si sia fatto aggiustare il pastrano, che abbia girato tutto il giorno per le vie di Torino e così, forse per caso, forse di proposito, che sia arrivato alla Chiesa della SS. Trinità, dove ha borseggiato Trucco.

 

Il Questore ne ordina l’arresto, presto eseguito da due poliziotti in via Nuova (via Roma). Nell’aprile 1868, Pascal compare davanti alla Corte d’Assise di Torino. Cerca di scagionarsi, dice che quel 6 dicembre non poteva trovarsi nella chiesa della SS. Trinità perché è sempre stato in casa ed all’osteria, dove gli hanno rubato il pastrano: non ha fatto denuncia, credendo che l’avesse preso il fratello che quella sera partiva per Firenze.

 

Secondo l’accusa, invece, Pascal si è trovato nella Chiesa della SS. Trinità di proposito, perché sapeva della cifra elevata che Trucco portava con sé.

 

I giurati dichiarano Pascal colpevole di furto aggravato per il valore della somma rubata e la Corte d’Assise lo condanna a cinque anni di reclusione.

 

 

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Articolo pubblicato il 21/07/2013