PONZA D’AUTORE 2013: intervista a Silvia Tortora
L'intervista a Sivia Tortora

Nel corso della rassegna letteraria per chi ama i libri e l’isola (TODO CAMBIA 12 luglio - 4 agosto 2013)

 

Silvia Tortora: “Mio padre Enzo, così per bene da essere fastidioso”

 

“Quella notte cambiava la sua vita, la nostra e anche un pezzo di storia del Paese”. Dalle 4 del mattino del 17 giugno 1983 l’esistenza di Silvia Tortora, una delle tre figlie di Enzo, non sarà più la stessa. Comincerà per Enzo Tortora quello che Giorgio Bocca definì “il più grande caso di macelleria giudiziaria della storia italiana”. Dall’arresto di quella notte alla morte di Enzo passarono 5 anni. In mezzo, una condanna a 10 anni di carcere, poi la piena assoluzione e infine il cancro ai polmoni che lo portò via. Giorni durissimi, ingiusti, raccontati dalla penna di Enzo nella corrispondenza con la figlia Silvia, giornalista, che sarà ospite di Ponza d’Autore giovedì sera. Presenterà con Gianluigi Nuzzi il suo “Cara Silvia, lettere per non dimenticare”, a 25 anni dalla morte del conduttore di “Portobello”. Ma sarà “l’ultima volta che parlerò pubblicamente di mio padre, perché ormai ho detto tutto quello che c’era da dire”. “Quando uscì l’accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico, traffico d’armi e traffico di stupefacenti – racconta Silvia – ci sembrarono subito assurde. Mio padre era un uomo rigoroso, impeccabile, al limite della pesantezza: in casa non si poteva fumare, dire parolacce, mancare di rispetto a nessuno. Uno di quelle persone “per bene”, ma non finto per bene: per davvero. Non frequentava feste, premi, nulla. Non gliene fregava niente. Faceva solo il suo lavoro. Non era possibile che fosse colpevole di quelle cose. Mica per il suo stile di vita, ma per come era lui”.

 

Uno dei primi accusatori di Enzo fu una mente criminale perversa, quella di Giovanni Pandico.

 

“Di questi falsi pentiti ne uscirono altri undici. Parlavano coi magistrati dicendo di sapere, si facevano trasferire in una caserma a Pastrengo e lì erano praticamente liberi. Stavano insieme, ricevevano donne, avevano benefici e speravano in uno sconto di pena. Eppure contro mio padre non c’era nemmeno una prova. Enzo non fu sottoposto a indagine: non ci furono mai controlli bancari, intercettazioni, pedinamenti. Era la loro parola contro quella di un incensurato”.

 

Da una parte la magistratura si fidò dei falsi pentiti, dall’altra un pezzo della stampa si scatenò contro di lui. Perché? 

 

“Per invidia. Era un uomo molto colto, ma un po’ sprezzante. Era anche un grande studioso, leggeva di tutto, con un po’ di puzza sotto il naso. E aveva successo. Molti erano invidiosi. L’invidia è una molla spaventosa. Alcuni brindarono alla sua condanna. Noi abbiamo avuto la soddisfazione di avere dalla nostra gente come Enzo Biagi, Giorgio Bocca e Vittorio Feltri. Però il giornalista piccolo, meschino, per vendere copie avrebbe fatto qualunque cosa”.

 

Dopo tutto ciò, Silvia Tortora (come la sorella minore Gaia) ha deciso di fare la giornalista. Come mai?

 

“Nonostante tutto mi sono convinta che ci fosse anche un modo corretto di fare giornalismo, con la schiena dritta”.

 

Che libro è “Cara Silvia?”

 

“La storia di un uomo innocente che si sveglia una mattina e scopre di essere un mostro. Scritto con parole sincere, come si scrive a una figlia. Ho censurato le parti su determinati politici o altre persone, perché non mi interessava fare polemica. L’ultima lettera è una sorta di testamento che mi ha mandato anni prima di morire, chiedendomi di aprirla dopo la sua morte. E io l’ho fatto, il 18 maggio 1988”. 

 

Nessuno dubitò mai di lui, nel suo ambiente?

 

“I suoi veri amici non furono mai sfiorati dal sospetto che Enzo non fosse innocente. Era talmente ligio da dare quasi fastidio. Era molto amico del commissario Calabresi. Una sera, era appena morto Pietro Pinelli, gli dissi polemicamente: “Bravo il tuo amico…”. Mi diede l’unico schiaffo della sua vita”.

 

Oggi ci sono altri casi Tortora?

 

“Ce ne sono, molti non li conosciamo. Ma con una differenza: nella vicenda di Enzo c’è la componente della fama in un periodo in cui esistevano due canali televisivi. Lui era sotto i riflettori. I paragoni con lui mi fanno ridere perché vengono da conclamati mafiosi, politici con immunità parlamentare: esattamente il suo opposto. Lui rinunciò a quell’immunità. Sarebbe morto di vergogna. Tornò agli arresti domiciliari e aspettò la sentenza d’appello”.

 

Con il secondo grado di giudizio Enzo Tortora fu assolto, ma spese l’ultimo periodo della sua vita nella battaglia per la riforma della giustizia. Oggi lei ha fiducia nella magistratura?

 

“In alcuni momenti sì, in altri no. Il problema non è la magistratura italiana, ma alcuni uomini che ne fanno parte. Mi inchino di fronte a uomini come Falcone e Borsellino, per altri – come quelli che accusarono e condannarono mio padre – provo disprezzo. Sulle responsabilità dei magistrati è stato vinto un referendum nel 1987. Non chiedo che vada limitata la loro libertà. Ma i magistrati che hanno fatto questo a mio padre sono stati tutti promossi. Ci sarà una via di mezzo, no? Non chiedo la gogna, ma la promozione è assurda. Sarebbe bastato un po’ di buonsenso”.

 

Francesco Giambertone

@fragiambe

 

Giulia Carrarini

@giuliacarrarini 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 20/07/2013