“La Torino noir” vista e narrata da Milo Julini
Foto di apertura

Assassinio di un sergente nella caserma dei Cavalleggeri di Saluzzo alla Crocetta

Questa storia inizia a Torino, nel borgo al tempo fortemente periferico de La Crocetta, nell’osteria della Caccia Reale. Qui, la sera del 27 novembre 1865, un gruppo di sottufficiali del 4° squadrone del Reggimento Cavalleggeri di Saluzzo, di stanza a Torino e alloggiato nella cascina Rosa alla Crocetta, sta festeggiando il caporale Giordano, che ha appena ottenuto il grado di sergente.

Giordano, come si usa fra soldati, ha invitato alcuni suoi amici a cena nell’osteria per festeggiare il nuovo grado. Fra gli invitati alla festicciola vi sono anche due fratelli, entrambi caporali nel Reggimento Cavalleggeri di Saluzzo, protagonisti della nostra storia: Luigi e Giuseppe De-Giacomi.

Luigi, di ventiquattro anni, e Giuseppe, di vent’anni, provengono da una distinta famiglia modenese, sono entrati volontari nell’esercito e in breve sono stati promossi caporali. Luigi De-Giacomi è stato comandato per il servizio interno come caporale di settimana e non avrebbe dovuto allontanarsi dalla caserma.

Ma, attratto dall’idea della festicciola, ha deciso di abbandonare il suo posto, commettendo una grave mancanza disciplinare. Mentre gli allegri amiconi stanno facendo brindisi benaugurali al neo sergente, entra nell’osteria il sergente Migliazza.

Per Luigi la situazione si fa piuttosto grave: il sergente è un suo superiore, sa che Luigi è caporale di settimana ed ora può constatare l’abbandono del posto. Anche gli altri militari presenti lo sanno, tanto che appena vedono il sergente Migliazza, tentano di coinvolgerlo nella loro festa e, con premure e di gentilezze, lo invitano a sedere ed a bere con loro.

Il sergente Migliazza sta sulle sue, dice di avere altri impegni e, senza accettare l’invito, si allontana. L’allegria non viene interrotta, la chiassosa compagnia non si preoccupa. Luigi De-Giacomi, che doveva trovarsi in servizio e si è visto sorpreso dal sergente, ha temuto per un momento che la scappata possa costargli cara.

Ma, con qualche bicchiere di vino, manda giù la paura e non ci pensa più. Usciti dall’osteria, tutti ritornano nella loro caserma, situata nella cascina Rosa nel territorio della Crocetta, in termini attuali tra il corso Galileo Ferraris e il corso Re Umberto, all’altezza dell’Ospedale Mauriziano. In caserma viene fatto l’appello serale e il furiere notifica a Luigi De-Giacomi gli arresti, per aver mancato al servizio.

Luigi già da molto tempo aveva l’idea fissa che il sergente Migliazza lo odiasse di cuore e cercasse ogni occasione per fargli del male. Nel constatare come Migliazza non ha perso l’occasione di fare un rapporto contro di lui, è preso da un’ira improvvisa, da un odio frenetico. Decide di farla finita.

Mentre tutta la caserma è silenziosa, Luigi va al letto del fratello Giuseppe, lo scuote, lo sveglia e in tono concitato, gli dice della punizione ricevuta, della necessità di vendicare l’offesa. Luigi così coinvolge senza esitazioni il fratello Giuseppe nei suoi deliranti progetti di vendetta. Lo convince ad alzarsi ed a seguirlo.

Scendono allo spaccio, bevono alcuni bicchierini di anice, complottano di uccidere Migliazza senza perdere altro tempo. Giuseppe si arma con un pistolone, Luigi trova le cartucce e, presa una pietra, ne fa una carica con i frantumi. Nascondono l’arma sotto il mantello e si avviano verso la stanza di Migliazza. Qui Luigi, lascia il fratello all’ingresso con l’arma carica ed entra.

Trova il sergente ancora in piedi, lo invita a scendere al corpo di guardia, per consegnarlo in prigione. Il sergente, benché a malincuore, decide di scendere. Dice a Luigi di precederlo e che scenderà poco dopo. Luigi esce, trova il fratello rimasto in attesa, gli prende l’arma e gli dice di seguirlo nel corpo di guardia.

Nel corpo di guardia, al lume di una debole e fioca luce, i due fratelli trovano i soldati di guardia che dormono della grossa sui tavolati. Loro si fermano in attesa della loro vittima. Poco dopo risuonano i passi di Migliazza che sta giungendo. Luigi si mette presso l’entrata e si tiene pronto con l’arma puntata.

Il sergente, che non pensa nemmeno lontanamente di essere minacciato, si avvicina al corpo di guardia e spinge la porta: non appena ha varcato la soglia, una scarica potente lo colpisce al petto e lo getta a terra, coperto di sangue.

All’improvvisa detonazione, i soldati dormienti si svegliano di colpo. Accorrono nel punto da cui proviene il colpo: trovano Migliazza quasi morente, con una ampia ferita che gli ha squarciato il petto, e Luigi, dritto in piedi, che stringe ancora l’arma e impreca contro la vittima.

Sono all’incirca le otto e tre quarti della sera. Migliazza muore dopo dodici giorni, il 9 dicembre 1865. I fratelli Luigi e Giuseppe De-Giacomi sono giudicati dal Tribunale militare di Torino sotto l’accusa di insubordinazione con assassinio, commessa in complicità fra di loro. Sono condannati, in data 26 dicembre 1865, alla pena di morte da eseguirsi, previa degradazione, mediante fucilazione alla schiena.

Contro questa condanna, i fratelli De-Giacomi ricorrono al Tribunale Supremo di Guerra. Il loro ricorso viene esaminato il 31 gennaio 1866 ed è respinto. Luigi De-Giacomi viene così fucilato alla schiena la mattina dell’8 febbraio 1866, nel cortile dell’ex-cittadella di Torino. Al fratello Giuseppe la pena di morte è commutata in quella dei lavori forzati a vita.

L’impiccagione del rapinatore omicida Carlo Savio, avvenuta il 13 aprile 1864, è considerata l’ultima esecuzione capitale eseguita a Torino. Va ricordato però che la giustizia militare, nel neonato regno d’Italia, è indipendente dalla magistratura ordinaria e delibera pene molto severe, anche la pena di morte.

Dopo l’esecuzione di Carlo Savio vengono ancora messi a morte, mediante fucilazione, alcuni militari dell’esercito italiano come il caporale Luigi De-Giacomi.

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Articolo pubblicato il 25/06/2013