La Companěa Teatral “Carla S.” di Torino
La Companěa

Intervista alle compagnie amatoriali di teatro in piemontese

Iniziamo una “esplorazione” nella realtà del teatro amatoriale in piemontese. Parliamo con TREMAGI (MAurizio Bazzi, MArco Moretti, MAssimo e GIanni Marietta), storici organizzatori della “Companìa Teatral Carla S.” di Torino.

 

Ci raccontate la storia della vostra Compagnia, i riconoscimenti ottenuti e le altre cose che ritenete significative?

 

"Com’è accaduto alla quasi totalità dei gruppi di teatro amatoriale, siamo nati nel teatrino di un oratorio. In particolare il nostro era l’oratorio salesiano di borgata Monterosa, a Torino. La particolarità della nostra storia è che la prima rappresentazione della nostra compagnia avvenne nel marzo del 1975, trentotto anni fa, e da allora la nostra vita artistica prosegue senza interruzioni.

 

Nel 1982 nasce lo pseudonimo di TREMAGI (MAurizio Bazzi, MArco Moretti, MAssimo e GIanni Marietta), con il quale vengono firmate le regie, le sceneggiature ed i copioni (a tutt’oggi in numero di dodici, oltre a scenette, dialoghi introduttivi, canzoni, ecc.) prodotti dagli storici organizzatori del gruppo. In tutti questi anni di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, per cui nella memoria restano scolpiti moltissimi episodi che alimentano la voglia di “fare teatro”. Le recite nel Cortile dell’Università in via Po o nel Cortile del Melograno al Borgo Medievale, nel Teatro Sociale di Alba o nel Toselli di Cuneo, i premi alla miglior compagnia, alla regia, ai testi, agli attori. Tantissimi sono i momenti felici che tornano alla memoria, momenti goliardici vissuti in perfetta amicizia tra di noi, ma anche i momenti critici sono utili alla crescita, come quando si recitò davanti ad un pubblico di tre persone (sic!), la sera di quel giorno in cui “via Fani” divenne tristemente famosa".

 

Quale è il vostro repertorio?

 

"Dopo le prime commedie e scenette portate in scena al Monterosa da ragazzini, nel 1978 si decise di provare il teatro piemontese, con “Peul sempre desse” di Mottura e Pacotto e con la regia di Beppe Sigaudo, che era stato attore professionista nelle compagnie di Erminio Macario e Armando Rossi e che volentieri si prestò a darci una mano, abitando nella nostra zona, la Barriera di Milano. All’epoca di compagnie che recitavano in piemontese ce n’erano pochissime, relegate nei teatrini della provincia, e le nostre rappresentazioni diventarono in breve un successo. Da allora il nostro repertorio fa parte del teatro amatoriale piemontese in tutte le sue accezioni, dalla commedia al recital, dalla rappresentazione storica a quella folcloristica, sempre improntato ad uno stile comico e leggero, nell’intento di divertire divertendosi".

 

Quale è il vostro pubblico?

 

"Il pubblico del teatro piemontese è un pubblico anziano, che si rinnova con difficoltà. Anche in provincia il piemontese non è più utilizzato come lingua madre e si perde nella memoria dei nonni. La scuola e le istituzioni in genere non fanno granchè per arginare l’emorragia delle memorie popolari. Dopo tutto non crediamo che i musei di arte contadina o i gruppi folkloristici possano da soli risollevare le sorti di una lingua in via di estinzione. Se anche noi stessi non usiamo la lingua dei padri per parlare alle nuove generazioni, non possiamo pretendere che lo facciano gli altri".

 

Come vedete lo “stato di salute” del teatro in piemontese?

 

"Incredibilmente stabile. Anche in città i teatri che hanno in cartellone una rassegna di piemontese, riescono con gli incassi da essa derivanti a salvare l’annata lirica, cinematografica e via dicendo. Purtroppo siamo consci che il teatro piemontese sta seguendo la parabola discendente della lingua di riferimento e così, negli ultimi anni ci siamo trasformati in autori, cercando di produrre dei copioni più in linea con il sentire ed il vivere del giorno d’oggi. Testi che strizzano l’occhio al teatro anglosassone, al cinema, alla televisione... Commedie che cercano di entrare in relazione col gusto del pubblico del nuovo millennio. A questo punto, mi piacerebbe rimarcare la difficoltà di rinnovamento del nostro teatro. Non tanto rispetto alla rispondenza del pubblico che, pur costituito in larga parte di anziani, mostra di apprezzare le novità. Sono proprio gli “addetti ai lavori” che spesso, convinti a torto di trovare più facili successi, continuano a percorrere le solite strade fatte di personaggi pesantemente caricaturati e situazioni prevedibili. Come già detto, da qualche anno stiamo cercando di impostare un filone più moderno di teatro, ispirandoci un po’ al mondo anglosassone, un modello espressivo che si stacca leggermente dal popolare classico, ma più aderente al nostro vivere attuale. Non siamo i soli: i “Tre di Picche” di Fiano, con Diego Mariuzzo, Stefano Trombin e Marco Voerzio, stanno lavorando in questo senso. Beh, nonostante i favori del pubblico, gli “intenditori” ci snobbano. Quando partecipiamo a concorsi con giurie composte da “esperti” viviamo le peggiori delusioni".

 

Quale “piemontese” utilizzate? (torinese, misto con italiano, strettamente locale o “dialettale”...).

 

"Il conflitto tra linguaggio parlato e linguaggio scritto è da sempre il problema da risolvere, per chi cerca di riprodurre teatralmente scene di vita vissuta. Questo dato di fatto vale ancora di più per chi decide di scrivere testi di teatro popolare. Lo spettatore deve vivere realmente la scena a cui assiste, deve entrare davvero nel personaggio, deve provare le sensazioni rappresentate. Altrimenti tutto è inutile. Inevitabilmente il linguaggio che si usa è quello corrente, spesso poco “ortodosso”, con frequenti aperture a contaminazioni italiche, gergali e straniere".

 

Cosa volete dire in conclusione a chi non conosce il teatro in piemontese?

 

"Vale ancora la pena di andare a teatro? Vale ancora la pena di andare a vedere il teatro in piemontese? Più che mai. In un’epoca in cui tutto si riduce ad un “mordi e fuggi”, solo il teatro può regalarci sensazioni reali. Solo il teatro popolare può farci vivere momenti immersi nella realtà. Solo il teatro popolare piemontese può immergerci nella nostra identità più intima. Nel nostro passato e nel nostro futuro. Arvëdse a Teatro!".

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Articolo pubblicato il 15/06/2013