"Torino: città senza regole?" - L'intervento del PM Andrea Padalino: "Lasciateci lavorare"
Il PM Andrea Padalino commenta le immagini del Campo nomadi di Lungo Stura Lazio

Il magistrato di Torino mostra il percorso del proprio lavoro: “Ci siamo sempre stati”

Le questioni sociali sono spinose e tendono a scaldare gli animi, non è una novità. Il dottor Padalino lo sa bene. Sa anche che quando inizia il “processo”, se gli animi sono caldi, si confondono gli elementi: sulla graticola dell'imputato finisce il procuratore, erroneamente assimilato ad un organo esecutivo piuttosto che ad uno giudiziario.

L'incipit del magistrato,“Il problema c'è da tempo”, nasconde dietro alla sua apparente semplicità una grande carica di significato. Padalino è attivo sul territorio torinese da anni; ha condotto -e concluso- decine di indagini su argomenti di ogni tipo (dal tifo violento allo spaccio di droga, dalla “movida selvaggia” ai campi rom abusivi), accomunati tuttavia dallo stesso ambito: il tessuto sociale che si strappa. Guardando a ciò si capisce il significato delle parole di un pm che, da anni combattente di un'infinita guerra per ricucire il suddetto strappo, non accetta di sentirsi dire “voi dove siete?”. Ed è proprio la testimonianza di questa lotta che il magistrato vuole sottolineare, mostrando alla platea dell'Hotel Ambasciatori la documentazione fotografica di anni di lavoro sul campo rom di Lungo Stura Lazio. Una documentazione vasta, arricchita dalle chiose di chi ha visto con i propri occhi. Quando dice “ho visto i bambini che giocavano a calcio con i topi” il suo sguardo si indurisce: è lo sguardo di chi vede e combatte la miseria. È lo sguardo di chi non accetta il “lei dov'era?”.

Una volta messi i punti sulle “i” e mostrati i percorsi del proprio lavoro, Andrea Padalino non cerca di eludere il capo d'accusa, inoltrandosi negli argomenti spinosi che delineano quelli che sono i limiti dell'azione giudiziaria. Una prima stoccata va alla discussa “Bossi-Fini” che il magistrato, in un'analisi squisitamente analitica, definisce inadeguata: una legge che a suo parere ha avuto il suo unico effetto in detenzioni carcerarie tanto brevi quanto effimere, estremamente dispendiose ed altresì lontane dal cuore del problema. Quindi cita la “Teoria delle finestre rotte” (se una finestra si rompe e non viene riparata, presto se ne romperà un altra) inserendola nel bacino argomentativo riguardante i centri sociali e le frange estreme dei movimenti No-Tav: senza arrivare ad una esplicita conclusione, il magistrato sottolinea quanto un lungo regime di lassismo abbia condotto alla propagazione del fenomeno. Poi un excursus su quelli che sono i limiti strutturali del settore. “Il problema- dice- è che ci sono troppi gradi di giudizio per i reati sbagliati”; compostissima parafrasi di “se ti arresto in flagrante per spaccio di droga, a cosa può servire un secondo grado di giudizio?”. Tutto questo, conclude Padalino, non ce lo possiamo permettere sotto nessun punto di vista, men che meno sotto il punto di vista sociale.

Poi una voce dal pubblico si rivolge al pm:“cosa chiedete voi magistrati per poter lavorare piu efficacemente?”. Allora Andrea Padalino prende un respiro, e, con straordinaria compostezza, spiega al pubblico dell'Ambasciatori quanto le varie leggi partigiane in materia di giustizia abbiano intralciato il suo lavoro e quello dei suoi colleghi. Quindi si ferma. Si prende qualche secondo di riflessione, forse temendo di aver dato una risposta “troppo politica”. “Chiedo che ci lascino lavorare”, conclude il magistrato.

                                                          Bernardo Basilici Menini

 

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Articolo pubblicato il 10/06/2013