“La Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Capodanno di sangue alla Barriera di San Paolo

Il Capodanno del 1876 a Torino è funestato dalla crudele bravata di una banda di giovani teppisti che aggrediscono a coltellate un anziano contadino provocandone la morte.

 

Questi giovani teppisti torinesi, con termine di derivazione milanese, sono detti “barabba”: non sono malavitosi abituali perché, sia pure in modo discontinuo, lavorano ma preferiscono ubriacarsi e attaccare briga, dimostrando per questo un impegno molto maggiore di quello profuso nel lavoro. Quello dei “barabba” è un fenomeno di devianza dei giovani operai, tipico della Torino della seconda metà dell’Ottocento e dei primi del Novecento.

 

Un gruppetto di questi “barabba” decide di trascorrere il Natale del 1875 in una osteria al di fuori della Barriera di San Paolo. Per chiarire la location di questa storia dobbiamo ricordare che dal 1853 Torino è circondata da una grandiosa struttura muraria, la cinta daziaria, oggi scomparsa e sostituita dai corsi Bramante, Lepanto, Ferrucci, Tassoni, Svizzera, Mortara, Vigevano, Novara, Tortona, Lanza e Sella.

 

Il Municipio di Torino ha deciso di costruire la cinta daziaria per riscuotere le tasse del dazio comunale sulle merci in entrata e contrastare il contrabbando. Dove le grandi strade di accesso alla città intersecano la cinta daziaria, si aprono degli ingressi, detti Barriere, costituite da uno spiazzo con le costruzioni per il controllo delle merci e l’alloggio delle guardie daziarie.

 

La Barriera di San Paolo è collocata in corso Ferrucci, dove sbucano a ventaglio le vie Monginevro, San Paolo e Vigone (oggi non è più compresa nel Quartiere San Paolo!).

I borghi che sorgeranno al di fuori della cinta, in corrispondenza di queste Barriere, prenderanno il nome da queste, come la Barriera di Milano, la Barriera di Nizza e la Barriera di San Paolo, o Borgo San Paolo, che nascerà sul finire dell’Ottocento.

 

Al tempo della nostra storia, uscendo dalla Barriera di San Paolo, si trova la campagna, con varie cascine: tra queste, la cascina Monginevro, che darà il nome alla via.

 

Dalla Barriera di San Paolo, fino al muro di cinta posteriore delle Carceri “Nuove” non vi è nessuna costruzione, soltanto un sentiero obliquo fra i prati. Vicino alle Carceri, si trovano il Macello Civico e il Mercato Bestiame: per trovare l’abitato di Torino bisogna arrivare fino al corso Re Umberto. 

 

Torniamo al giorno di Natale 1875, quando i quattro “barabba” si recano oltre la Barriera di San Paolo in una piccola osteria, posta a poca distanza dalla cinta. Qui i giovani trascorrono tranquillamente tutto il pomeriggio di festa: bevono vino in abbondanza e ballano al suono di un organetto.

 

Niente turba la loro chiassosa allegria. Ma, a notte inoltrata, qualcuno dei frequentatori dell’osteria si mostra ostile verso i quattro giovanotti. Poi, mentre tornano a Torino, qualcuno lancia dei sassi verso di loro, standosene nascosto nelle siepi che fiancheggiano la strada: un avvertimento, una intimidazione che in Torino e nelle campagne, i ragazzi di una borgata usano spesso nei confronti dei giovani “estranei” che si introducono nel loro territorio, per fare bisboccia, per ballare e per corteggiare le ragazze locali.

 

I quattro “barabba” vorrebbero affrontare gli assalitori e vendicarsi, ma gli assalitori sono piuttosto numerosi, così, prudentemente, se ne tornano in silenzio alle loro case. Incominciano però a lamentarsi dell’affronto subito coi loro compagni di lavoro e, nel corso della settimana, i quattro “barabba” decidono di tornare all’osteria al Capodanno del 1876, in compagnia di alcuni altri giovani amici.

 

Il 1° gennaio 1876 tutti questi “barabba” si recano all’osteria della Barriera di San Paolo, dove si trattengono fino alla notte: giocano alle bocce e cantano ma intanto si guardano attorno per vedere se scorgono qualcuno di coloro che li hanno “oltraggiati” alla sera di Natale.

 

Alla sera, non si può dire che siano ubriachi fradici, ma hanno bevuto un bel po’ di vino: sono ben “carburati” e desiderosi di vendetta. Appena usciti dall’osteria fermano due giovanotti che se ne vanno tranquillamente per i fatti loro e chiedono soddisfazione dell’affronto del giorno di Natale.

 

I due sconosciuti sopportano con pazienza e rassegnazione le parole e i gesti di minaccia dei giovani“barabba” e, alla fine, riescono a svignarsela senza danni anche se con molta paura.

A quel punto capita in mezzo al gruppo di “barabba”  un vecchietto, Carlo Francese, che sta tornando alla sua vicina abitazione.

 

- Eccolo qui quello che ci ha traditi domenica scorsa - grida uno dei “barabba”, più furibondo dei compagni.

 - Io non vi ho fatto nulla - risponde il povero vecchio.

- Sì, ti conosco; tu sei quello che ci ha traditi domenica scorsa, ed ora tradiamo te - replica il “barabba” inferocito.

 

Il povero Carlo Francese cerca si scappare di corsa, alcuni “barabba” lo inseguono, lo raggiungono dopo pochi passi e lo colpiscono con tre coltellate alla schiena.  Francese continua a fuggire, si lancia attraverso i campi, attraversa un piccolo orto, cerca di saltare un fosso e vi cade dentro.

 

Dietro di lui cade uno degli inseguitori, ma ne arrivano altri. Picchiano con un bastone il vecchio inerme che invoca pietà. Qualcuno gli porge la mano e lo aiuta a rialzarsi dal fosso, ma una nuova bastonata lo colpisce ai fianchi e gli viene scagliato contro un bicchiere che lo ferisce alla fronte.

 

Francese, barcollando, riesce ad entrare in una vicina cascina e si rifugia da un suo conoscente, mentre il “barabba” furioso, con minacce e grida, tempesta di colpi la porta.

Finalmente questo forsennato torna dai suoi compagni e, tutti insieme, si allontanano per rientrare in città.

Carlo Francese muore il 4 gennaio 1876 per le ferite riportate nell’aggressione.

 

In breve tempo i giovani teppisti vengono identificati e arrestati. Sono sette: Severino Binelli detto lo Zoppo, Francesco Bertolino detto il Moro, Luigi Colombo detto Bagat e Giuseppe Gavazza detto Guglia, i quattro che a Natale sono stati presi a sassate, e poi Maurizio Allemandi detto Biond dël Rubat, Gaspare Bea, Eugenio Casalegno detto Cit, che con i precedenti hanno partecipato alla spedizione “punitiva” di Capodanno.

 

 Il processo si svolge Corte d’Assise a Torino nel novembre dell’anno successivo e dura per tre giorni. Gli imputati sono soltanto più sei, perché Francesco Bertolino detto il Moro, è morto in carcere, e cercano di scaricare la colpa l’uno addosso all’altro.

 

Le peggiori malefatte sono addebitate allo scomparso Bertolino. Alla fine del dibattimento, i giurati concedono le attenuanti a tutti gli accusati e ritengono che il fatto abbia superato le loro intenzioni: così Allemandi, Bea e Gavazza sono condannati a dieci anni di lavori forzati, Casalegno a dieci anni di reclusione, Binelli e Colombo a tre anni di reclusione.

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Articolo pubblicato il 28/04/2013