La "Torino noir" vista e narrata da Milo Julini

Il mistero dello scheletro di via Fiano (e di altri scheletri)

Nell’anno 1955, a Torino, una via della borgata Campidoglio acquista per alcuni mesi una sinistra notorietà. Il 14 giugno, in via Fiano n. 29, durante i lavori di scavo in una cantina, viene scoperto sotto il pavimento di terra battuta uno scheletro di donna, avvolto in un sacco.

 

Le indagini sono condotte dal dott. Ferrito, commissario del Borgo San Donato, e dai dottori Maugeri e Sgarra della Squadra Mobile. Secondo il professor Portigliatti, dell’Istituto di Medicina Legale, lo scheletro appartiene ad una donna sui 30-40 anni, alta m. 1,60 che, probabilmente, è stata uccisa da un colpo alla nuca, dove il cranio appare fratturato.

 

L’identificazione della vittima potrebbe essere favorita dal ritrovamento di una collana, un monile massiccio, lungo circa 40 cm,  formato da una catena d’oro con appesa una moneta di Napoleone, con la data “1858” in una ghirlanda di fiorellini. Il valore è stimato intorno alle 200.000 lire e questo fa escludere la rapina come movente dell’omicidio. Pochi altri oggetti metallici recuperati, tra cui una pinza per capelli, risultano assai meno significativi.  

 

Quasi subito sembra di poter identificare lo scheletro: si pensa ad un clamoroso episodio del gennaio del 1947, la scomparsa di Jolanda Bianco, ricamatrice di 41 anni con una movimentata vita sentimentale, sparita da un giorno all’altro dalla sua abitazione in via Giolitti n. 10, senza denaro e senza indumenti. Oltre all’epoca della scomparsa, corrispondono anche la statura e l’età.

 

Mentre si cercano i parenti della Bianco, emerge una curiosa coincidenza: nella casa di via Fiano abitano alcuni parenti di Benito Lorenzi, il calciatore dell’Inter soprannominato Veleno, l’inventore del soprannome Marisa attribuito a Giampiero Boniperti. Gli abitanti della casa non sono però sospettati, si pensa che la vittima sia stata uccisa altrove e successivamente sia stata portata, avvolta in un sacco, nella cantina di via Fiano che, in tempo di guerra, era stata anche munita di una apertura verso l’esterno, per usarla come rifugio antiaereo.

 

Viene anche fuori che sette anni prima, è scomparsa una giovane donna della borgata Campidoglio, ma le sue caratteristiche non combinano coi reperti della morta. In un primo tempo, i parenti di Jolanda Bianco sembrano offrire qualche appiglio alla identificazione, non riconoscono la collana ma sembrano ricordare le caratteristiche fibbie delle scarpe.

 

Il 18 giugno 1955, La Stampa annuncia un raffronto, eseguito all’Istituto di Medicina Legale, della foto del volto della scomparsa Jolanda Bianco con il teschio ritrovato ma la promettente ipotesi di identificare lo scheletro con Jolanda Bianco sfuma presto nel nulla.

 

Dopo un periodo di silenzio, il 31 luglio 1955, La Stampa annuncia che altre persone credono di identificare nella morta una loro parente. La famiglia Fiorioli, residente a Bellinzona in Svizzera, si è fatta avanti per annunciare che la morta sarebbe Gemma Fiorioli, nata a Biasca in Canton Ticino nel 1912. La Fiorioli mancava da casa ormai da otto anni, era partita per un viaggio in Italia da cui non aveva più fatto ritorno: la sua ultima cartolina era stata spedita da Torino. I Fiorioli sostengono di avere riconosciuto la collana con la moneta di Napoleone come appartenente a Gemma ma anche questa pista svizzera presto si risolve in un nulla di fatto.

 

Le indagini per identificare lo scheletro di via Fiano, a questo punto, assumono un carattere più “scientifico”: gli inquirenti, oltre che seguire le piste offerte dalla segnalazione di persone scomparse, analizzano i reperti con le tecniche della Polizia scientifica.

 

Ai primi di settembre, il sacco che avvolgeva lo scheletro è riconosciuto come un sacco per il commercio del carbone. Emerge così una terza pista. Si inizia a parlare di una giovane calabrese di nome Maria che, nel 1943, aveva 28 anni e lavorava saltuariamente come rammendatrice dei sacchi di carbone presso un carbonaio della borgata Campidoglio. Viene anche trovato l’autista di un camion a gasogeno che, sempre nel 1943, la frequentava ed andava a prenderla all’uscita dal lavoro. L’uomo abita ancora nei pressi di via Fiano.

 

Anche questa volta le indagini non approdano a nessun risultato. Si parla ancora dello scheletro di via Fiano nel febbraio dell’anno successivo, il 1956, quando la signora Carla Liesch Tolentino, abitante a Trieste, crede che si tratti di sua figlia Nives, scomparsa a Torino nei giorni della Liberazione. Nives Tolentino era una ragazza di 24 anni, bella e slanciata: come figlia di padre ebreo, per sfuggire ai nazisti a Trieste, si era recata a Torino dove conosceva un tenente dell’esercito di Salò.

 

Questi era fuggito a Milano prima del 25 aprile 1945. Sedicenti “partigiani” avevano fatto irruzione nell’alloggio di Nives Tolentino: lei era assente e loro lo avevano saccheggiato. In seguito erano tornati ed avevano portato via la ragazza che, dal 3 maggio 1945, era scomparsa. La signora Carla Liesch, a sostegno del suo riconoscimento, dichiara che la figlia Nives possedeva un Napoleone d’oro. Ma il dottor Maugeri si dice scettico: la morta è una donna sui quarant’anni, di bassa statura e deceduta 20-25 anni prima. Questa segnalazione non ha ricadute per le indagini.

 

Oggi l’unica certezza è che il caso dello scheletro nel sacco è rimasto insoluto. Se le indagini non hanno potuto identificare lo scheletro nel sacco di via Fiano 29, nel 1964 viene risolto un caso che riguarda un altro scheletro. Si tratta però di un delitto con caratteristiche che lo rendono assai meno misterioso: il caso non segue il classico schema dello scheletro trovato dopo molti anni ed appartenente a persona sconosciuta ed estranea all’ambiente del ritrovamento.

 

La scoperta avviene l’11 agosto 1964 in un alloggio di corso (oggi lungodora) Napoli n. 26. La signora Luigia Mathis scopre, nel piccolo ripostiglio, il cadavere ormai scheletrito della figlia Vittoria Gabri, scomparsa dal 30 giugno. Sono trascorsi soltanto 40 giorni dalla morte ma la sistemazione nel piccolo ripostiglio, sotto uno spesso cumulo di rifiuti, e la stagione assai calda hanno accelerato il processo di decomposizione del corpo mingherlino della morta.

 

Le indagini portano rapidamente all’identificazione e all’arresto dell’assassino di Vittoria Gabri: è Giovanni Faga, un ex legionario che viene processato già nell’anno seguente. I cronisti accumulano gli elementi strappalacrime di questa vicenda che coinvolgono emotivamente i lettori: la vittima, madre di una bambina, era malata di leucemia ed era preda di uno sfruttatore violento, aveva sperato di rifarsi una vita con l’uomo che poi l’aveva uccisa.

 

Più che una trama giallo horror, come nel caso di via Fiano, questa appare come una trama da romanzo o da film drammatico: più che da Gianna Baltaro, avrebbe potuto essere rielaborata da Giovanni Arpino.

 

Questi sono i casi più clamorosi del passato avvenuti nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale.  Ma i lavori di scavo riservano sempre delle sorprese: nel novembre 2011, a due passi dalla via Cernaia, in via Mercantini di fronte al n. 5, all’in­crocio con via Giannone, nel corso degli scavi per la posa delle fibre ottiche, un operaio ha trovato uno scheletro di un adulto, sepolto per metà sotto il marciapiede e per metà sotto il manto stradale, con i piedi rivolti verso l’edificio più vi­cino, perpendicolare alla via, da almeno cinquant’anni.

 

Le ricerche sono state forse più accurate che in passato, il cantiere è stato bloccato per due giorni, ma ad oggi le indagini dei carabinieri non sembrano ancora aver dato risultati concreti.

 

Decisamente Temperance “Bones” Brennan non abita a Torino!

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 25/03/2013