L’India: «Sui marò nessun accordo»

E con l’Italia è di nuovo scontro

Fonte: IlMessaggero.it

«Chiarimenti», non «garanzie». L’ultima precisazione dall’India mette sale sulla piaga italiana della vicenda dei marò. Nel documento che la Farnesina ha sventolato per giustificare il dietrofront sui due militari e convincerli a un precipitoso rientro in India, ci sarebbero, secondo New Delhi, semplici risposte a domande italiane. Nessuna promessa che non sarebbe in nessun caso applicata la pena di morte (prevista in India), nel processo che li vede accusati di aver ucciso due pescatori mentre erano di servizio anti-pirateria. «Come può il potere esecutivo dare garanzie sulla sentenza di un tribunale?» è la domanda retorica che si è posto il ministro della Giustizia indiano, Ashwani Kumar, in un'intervista alla Tv Ibn. «Nessuna garanzia» ha insistito Kumar, è stata data. Il sottosegretario italiano agli Esteri, Staffan De Mistura, che ha preso di nuovo in mano la gestione della vicenda dopo i recenti infelici rovesci, avverte di aver ricevuto un’«assicurazione scritta ufficiale del ministero degli Esteri a nome del governo indiano». Il ministro degli Esteri Salman Khurshid, che è anche un avvocato, dice che il caso dei due militari «non è di quelli che implica in India l'applicazione della pena di morte». Ed è di questo, e non di altro, che «sono state date assicurazioni». La questione della pena di morte, benché ora se ne parli molto, non è stata all’origine del colpo di mano dell’11 marzo scorso, quando fu deciso di non far rientrare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.«La giurisdizione è italiana. Siamo disponibili a trovare soluzioni con l’India in sede internazionale» era stata allora la comunicazione del ministro degli Esteri Giulio Terzi, nella sintesi di un tweet. Poi, vista la tensione crescente, si è dato sempre più spazio alla tesi che l’Italia non poteva far rientrare i due perché in India è prevista la pena di morte, che la nostra Costituzione non ammette. Ma di pericolo di pena di morte non si era concretamente parlato nei mesi precedenti, considerandolo non reale per un delitto colposo. 

UN GRUPPO DI ESPERTI
«Io non so chi abbia tirato fuori questa questione dell'accordo, che ho già smentito - ha insistito Khurshid - e neppure perché si parli di garanzie che non sono state nè richieste nè date». Aggiunge il ministro: «Abbiamo riunito un gruppo di esperti che hanno dato chiarimenti scritti riguardo alla legge indiana sui rilievi sollevati da parte italiana». Infine: «In sintonia con una giurisprudenza indiana molto condivisa questo caso non ricade nella categoria di quelli che implicano l'ipotesi di pena di morte».
Una crisi diplomatica che non trova ancora una distensione. Una «farsa» l’ha definita con inusitata durezza il capo di Stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, augurandosi che i due marò «siano al più presto riconsegnati alla giurisdizione italiana». E come se non bastassero le polemiche in Italia lo scontro (e le strumentalizzazioni) tengono banco anche in India. Dove però le autorità giudiziarie hanno finalmente disposto la costituzione di un tribunale ad hoc per esaminare il caso. È il tribunale speciale così come stabilito nella sentenza della Corte Suprema del 18 gennaio. E sarà costituito nella capitale, e non nello stato del Kerala come chiede il governatore locale, davanti alle coste del quale è avvenuto il tragico incidente.

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Articolo pubblicato il 24/03/2013