Europa, l'austerity fa crollare i governi

In meno di due anni 11 Paesi Ue costretti al voto. Agli esecutivi manca il consenso. Colpa delle misure contro la crisi. E l'anti-politica avanza. Come il boom di Beppe Grillo in Italia

Fonte: Lettera43

Uno dopo l'altro, a terra come birilli. Destra e sinistra non esistono più: agli occhi dei cittadini c'è solo la crisi. E siccome i partiti hanno fallito, ora a risolverla non deve essere per forza un politico.
Dopo l'esplosione della bolla sui mutui subprime, nell'estate del 2008, e dopo la successiva e conseguente crisi dell'euro, arrivata al culmine nel novembre 2011, il bilancio dei governi dell'Unione europea è impietoso.
In poco più di due anni, 11 Paesi hanno visto premier e rispettivi esecutivi cadere sotto la mannaia dei tagli al welfare e alla spesa pubblica. Mandati a casa mentre, nelle piazze, il popolo di precari, disoccupati e giovani senza futuro invocava le dimissioni.
DIMISSIONI A CATENA. L'ultimo presidente del Consiglio defenestrato è stato lo sloveno Janez Jansa, dal settembre 2011 alla guida dell'ex Paese più florido della vecchia Jugoslavia, sul baratro del salvataggio per crac bancari e scandali di corruzione a catena.
Penultimo a dimettersi, alla vigilia del voto di protesta italiano, era stato il bulgaro Boiko Borisov , conservatore anche lui, al timone dello Stato più povero dell'Ue e schiacciato dalle manifestazioni anti-austerity.
Il primo, nel gennaio 2011, fu invece l'irlandese Brian Cowen, repubblicano liberale del Fianna Fáil. Partito che, prima della crisi vantava il record della più lunga permanenza al governo in Europa, dopo i socialdemocratici svedesi.

Italia e Grecia al capolinea, tra anti-politica o grosse Koalition

In mezzo al guado c'è l'Italia, la cui stabilità politica ed economica, da oltre un anno, fa tremare l'Europa .
Dopo la caduta, nel novembre 2011, del governo di centrodestra di Silvio Berlusconi, travolto dalle tempeste dello spread e dalla inchieste giudiziarie, la guida del Paese è stata consegnata dal presidente Giorgio Napolitano nelle mani del governo tecnico d'emergenza di Mario Monti, con il compito di portare a termine le riforme imposte da Bruxelles.
Anche questo esecutivo, però, è stato interrotto prima della fine della legislatura per mancanza di consenso. E le elezioni del 24 e 25 febbraio scorsi hanno fotografato come unica vera forza in ascesa quella del M5s anti-Casta e anti-austerity .
ROMA COME ATENE. La crisi politica italiana, foriera forse di un nuovo voto entro l'anno, non tranquillizza Bruxelles.
Forse perché lo stesso scenario frammentato si è più volte prospettato nella Grecia salvata dagli aiuti internazionali, con il socialista George Papandreou costretto a dimettersi, nel novembre del 2011, dopo aver proposto un referendum (saltato) sulla permanenza del Paese nell'euro.
IL GOVERNISSIMO GRECO. A colmare il vuoto è poi arrivato il banchiere Lucas Papademos, investito, ad interim, dall'arduo compito di approvare i memorandum sui tagli alla spesa pubblica imposti dall'Europa. Quando anche il suo compito è terminato, per effetto delle elezioni del maggio 2012, un nuovo uomo è arrivato sulla graticola,
Ora è il leader conservatore Antonis Samaras il premier della grande coalizione di larghissime intese che, in extremis, ha riunito una minoranza degli ex comunisti, i socialisti del Pasok e il centrodestra di Neo Dimokratia.
All'ombra del Partenone, la crisi sociale resta drammatica. Ma, nonostante ogni aspettativa, i conti pubblici e il governo sembrano aver raggiunto una qualche stabilità.

Olanda e Finlandia, vittime virtuose del dibattito sull'austerity

Turbolenze e strappi, del resto, sono spesso fisiologici al rinnovamento, in un'Europa che appare decisamente in metamorfosi.
Se la Francia appare ancora polticamente stabile nonostante la crisi dell'economia reale, il terremoto ha già colpito Madrid, e le scosse potrebbero continuare.
LA SPAGNA FRAGILE. Esplosa la bolla immobiliare, gli spagnoli hanno vissuto la sconfitta politica della sinistra, sfociata nella dimissioni anticipate del luglio 2011 del premier socialista José Zapatero. Dopo di lui è venuto il conservatore Mariano Rajoy, vincitore delle elezioni ma finito egualmente nel mirino degli indignados , per i massicci tagli alla spesa sociale sollecitati dall'Unione europea in cambio dei prestiti (100 miliardi di euro richiesti) per salvare le banche. 
Il consenso di Rajoy è ai minimi storici e, alla prossima manovra lacrime e sangue, anche questo governo di destra, fedele esecutore delle misure indicate da Bruxelles, potrebbe implodere.
Chi voteranno a questo punto gli indignados spagnoli? Alla fine, nemmeno nei Paesi virtuosi i partiti tradizionali hanno dato esempio di buon governo.
Oltre al Portogallo in balia della Troika di creditori (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Ue) che a 2011 ha eletto il suo nuovo premier socialdemocratico dopo le dimissioni di Josè Socrates, in due anni sono caduti come fuscelli i governi della ricca Olanda e della diligente Finlandia.
All'Aja, nel 2012, il casus belli erano i tagli alla spesa per ripianare il deficit di bilancio. Nell'aprile 2011, a Helsinki, l'esecutivo andò invece a carte quarantotto nella discussione sul pacchetto di aiuti al Portogallo.
L'EST EUROPA TRABALLA. Certo, l'Europa dell'Est resta l'area politicamente più instabile, anche se meno influente per l'euro.
In Romania, dopo pesanti scontri di piazza, la girandola di governo si è conclusa, nel dicembre 2012, con la vittoria del centrosinistra di Victor Ponta.
In Slovacchia, nell'autunno 2011 i socialdemocratici erano stati costretti alle dimissioni, dopo lo stop sulle riforme in parlamento. E in Slovenia, prima del conservatore Jansa, il precedente governo socialdemocratico era rimasto orfano della fiducia del settembre 2011.
Sul tavolo, sempre l'austerity invocata come la risoluzione di problemi strutturali. Perché non cambiare agenda , anziché far strage di governi?

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Articolo pubblicato il 03/03/2013