Ospedale Valdese - Frammenti di (stra) ordinaria sanità pubblica

Prende il via la rubrica di Nacita Fiur con le testimonianze dei pazienti

 

PROFUMO D’INCENSO

 

Squadra che vince non si cambia”

 

La “squadra” a cui faccio riferimento è - ovviamente - quella dell'Ospedale Evangelico Valdese, quella a cui mi sono rivolta e affidata nel 2004, quando, nel caos causato dalla notizia di avere un cancro al seno, è stata una certezza scelta e consapevole: “Voglio andare al Valdese!”

Dire che “mi sono trovata bene” è un eufemismo. Basti dire che ho potuto portare e accendere in camera il “mio” incenso, che ho potuto dare al chirurgo una piccola preghiera, perché la leggesse (e quando sono andata alla visita di controllo post-operatorio la cartolina con la preghiera era sulla sua scrivania!), che una delle infermiere che mi ha accudita conosceva, come me, il reiki; che il personale in sala operatoria indossava graziose cuffiette... E questo era “solo” tutto il “contorno”, il “conforto”, il “contatto” che ho trovato, e vi assicuro che quando stai male ogni particolare è importante, ogni parola può fare la differenza, è come se fossi “senza pelle”. Ma poi c'è la professionalità, l'attenzione, la chiarezza di ogni singolo/a operatore/rice, prima dell'intervento, durante l'intervento, dopo l'intervento. Ecco, dopo.

Bisogna sapere che quando ricevi una diagnosi di cancro il mondo ti crolla addosso, ma dopo, quando il peggio sembra essere passato, quando sei sopravvissuta all'operazione, ti aspettano le terapie, e dopo le terapie lunghi anni di controlli periodici. Io posso parlare di nove anni di controlli, di mammografie, ecografie, esami del sangue, visite senologiche. Ecco: senologia: questa parola ricorda un luogo dove - anche lì - ho incontrato precisione, gentilezza, comprensione, attese corte, “tuttoinungiorno”, esiti consegnati immediatamente... E anche questo, se non hai avuto il cancro, può sembrare poca cosa. E invece no, è molta cosa. Da un anno all'altro ho trovato spesso le stesse persone, al punto che un radiologo si ricordava che indosso delle gonne “particolari”... e non parliamo delle addette alla reception (sia in senologia - via Ormea - sia agli ambulatori di via Silvio Pellico e anche - naturalmente - all'ospedale vero e proprio).

Dunque non capisco: posso affermare, senza tema di essere smentita (soprattutto perché ho frequentato regolarmente per nove anni, l'intero insieme che sta sotto il nome di “Valdese”), che tutto funzionava perfettamente, dal punto di vista professionale, ma anche umano e logistico (vi assicuro che non è un dettaglio trascurabile il fatto che i luoghi siano vicini tra loro e comodi da raggiungere).

Sapete la famosa storia dell'«umanizzazione» della medicina? Del rapporto medico-paziente? Che i pazienti non siano numeri eccetera? Be' al Valdese è già così (forse per quell'aggettivo - evangelico - che ora non c'è più? Perché non c'è più?), o meglio dovrei dire “era”, perché ora non lo sarà più. Perché?

Sono non solo triste, ma anche scandalizzata, e anche un po' inc..., “disturbata”, soprattutto per le donne che dopo di me e come me, si troveranno di fronte una prova difficile come quella che ho incontrato io e che - a differenza di me - non troveranno ciò che io ho avuto la fortuna di trovare in questi nove anni di frequentazione dell'Ospedale Evangelico Valdese di Torino.

(Avrei scritto molto più di così, ma l'indicazione recitava «senza dilungarsi eccessivamente»)

 

Cinzia Picchioni

 

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Articolo pubblicato il 18/02/2013