Trasparenza: via obbligata per chi gestisce risorse raccolte tra il pubblico

L'attenta e precisa analisi di Michele Paolo Pastore

Dall’autunno 2008 ad oggi la prolungata crisi economica ha alterato le relazioni sociali tra impresa privata, cittadini e settore pubblico, modificando in maniera significativa comportamenti, atteggiamenti ed aspettative delle persone.

Nella ricerca delle responsabilità, ognuno addita le colpe altrui proponendo rimedi più o meno partigiani.

Ma su un argomento il pensiero è unanime:

la responsabilità della classe dirigente, a cui segue la necessità di ridurre sprechi, privilegi oltre ad un aumento dei controlli sull’utilizzo di fondi pubblici.

La storia nazionale è costellata di scandali e deprecabili esempi di utilizzo non conforme delle risorse; legittime sono le rimostranze di tutte le categorie e ceti sociali.

I recenti accadimenti legati all’utilizzo “improprio” di fondi rivenienti dalle casse di partiti politici non sono che la punta dell’iceberg di un malcostume diffuso; la pervasività del fenomeno, in concomitanza della crisi economica, ha portato già la scorsa estate all’emanazione della legge 6 luglio 2012 n. 96 dal titolo “norme in materia di riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti, nonché misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti medesimi”.

Tale legge, passata quasi inosservata, regolamenta la riduzione, l’erogazione, la trasparenza e i controlli sui contributi ai partiti e ai movimenti politici.

Nel merito gli aspetti maggiormente qualificanti si riassumono (non esaustivamente) nei seguenti punti:

  • riduzione a “soli” 91 milioni dei contributi complessivi erogabili ai gruppi parlamentari

  • ogni partito deve raggiungere almeno la soglia del 2 per cento di voti validi a livello nazionale per poter accedere ai contributi

  • la certificazione dei bilanci dei partiti da parte di una società di revisione regolarmente iscritta all’albo Consob

  • la pubblicazione obbligatoria dei bilanci dei partiti sul sito internet della Camera dei Deputati oltre che sui siti dei partiti stessi.

  • l’istituzione di una “Commissione per la trasparenza”

  • Il divieto ai partiti di investire le proprie liquidità in strumenti finanziari diversi dai titoli emessi dalla comunità europea

E’ chiaramente una legge figlia dei recenti e ripetuti scandali, la cui ratio risiede nel correggere comportamenti deviati e illegali piuttosto che nel dare un indirizzo a tutte le entità che gestiscono risorse pubbliche.

La mancanza di trasparenza è un problema che pervade anche quanto viene definito “terzo settore”.

L’assenza di un ambito normativo ampio, che definisca in generale le linee guida di trasparenza, pubblicazione e tracciabilità delle spese sostenute da sindacati ed associazioni lascia facilmente intendere come, in un futuro più o meno prossimo, i nefasti fenomeni di riciclaggio, ed utilizzo improprio di denaro raccolto dal pubblico, potrebbero avvalersi di tali enti come veicolo per i propri obiettivi.

Nell’era della digitalizzazione l’alibi dei costi elevati da sostenere per la pubblicazione e per la trasparenza viene meno, e, oltre ai partiti, evidenziamo come rimangano importanti zone d’ombra su altri enti che comunque gestiscono ingenti risorse raccolte presso il pubblico e i singoli cittadini.

Sindacati, onlus, associazioni che raccolgono soldi pubblici e nuovi movimenti d’opinione, gestiscono importi significativi di risorse, pur senza rendicontare in trasparenza la propria operatività.

La scelta originaria di questi enti di voler mantenere una struttura opaca nella gestione dei conti, oggi stride in maniera eccessiva con la sensibilità che nasce dalla richiesta di trasparenza della gestione delle ormai scarse risorse disponibili.

E’ auspicabile un nuovo intervento legislativo in merito, ma ancora più auspicabile, e soprattutto tempestivo, sarebbe un accordo di autoregolamentazione demandato alle singole categorie interessate.

Quindi autoregolamentare la certificazione e la pubblicazione dei propri bilanci, oltre alla pubblicazione via internet dell’utilizzo delle disponibilità dei singoli enti, produrrebbe vantaggi evidenti ed immediati.

Innanzitutto si andrebbe in tempi non biblici a colmare un vuoto normativo sull’intero settore, oltre che ovviare alla necessaria trasparenza richiesta da iscritti ed associati. Ulteriormente si andrebbe a garantire un preventivo controllo interno ai singoli enti, in quanto gli organi preposti verrebbero responsabilizzati ad un maggior controllo nei confronti delle singole voci di spesa.

La trasparenza, soprattutto, avrebbe il vantaggio evidente di ridare, almeno in parte, credibilità a coloro che, per dovere o necessità, gestiscono risorse pubbliche creando una competizione tra gli enti più virtuosi.

Per sindacati, ed associazioni il dibattito è aperto…

 

Michele Paolo Pastore

 

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Articolo pubblicato il 23/01/2013