Debito Pubblico e Fiscalità

Determinante il gettito riveniente dal recupero dell’evasione fiscale

Indipendentemente dal risultato delle prossimi elezioni politiche, chiunque riceverà la responsabilità di governare il paese, dovrà affrontare il duplice nodo di debito pubblico e fiscalità.

Tutti concordi nella necessità di ridurre il livello ed il peso di entrambi, meno nelle ricette da utilizzare per raggiungere l’obiettivo.

Lo stesso Governo Monti non è riuscito a ridurre lo stock del debito (che ha superato il livello psicologico dei 2.000 miliardi di Euro!) e la stabilizzazione del deficit è stata pagata a caro prezzo dai contribuenti con l’introduzione dell’IMU e con l’inasprimento delle tariffe.

I due problemi sono strettamente correlati e, alla luce dell’attuale deficit delle finanze italiane, occorre valutare quali sono gli interventi possibili, distinguendo tra il breve, il medio e il lungo periodo.

In primo luogo occorre premettere che la razionalizzazione della spesa pubblica corrente è un prerequisito indispensabile, ma solo ai fini di una migliore gestione della stessa. Questo perché la spesa pubblica è una componente che contribuisce alla formazione del PIL nazionale, e ridurla significa, in parte, diminuire anche la ricchezza prodotta dal paese.

Dunque per la riduzione dello stock del debito accumulato negli anni passati, le risorse aggiuntive si possono reperire:

  • aumentando la tassazione,

  • recuperando congrui livelli di evasione fiscale,

  • vendendo i “gioielli di famiglia”,

  • oppure con un mix dei diversi interventi sopracitati.

Prendiamo in considerazione la prima ipotesi: ulteriori inasprimenti della fiscalità andrebbero ad incidere negativamente sulle risorse disponibili delle famiglie, deprimendone ulteriormente i consumi e creando i presupposti per un incremento dei già alti livelli d’evasione fiscale. Un ulteriore inasprimento delle aliquote fiscali andrebbe inoltre a mortificare gli investimenti privati ed esteri, che verrebbero dirottati in quei paesi esteri a fiscalità agevolata.

Risulta chiaro che, in un paese in cui tutti gli indici economici sono negativi, come l’Italia dell’ultimo triennio, sia nel breve che nel medio termine aumentare ulteriormente le tasse non è soluzione attualmente praticabile.

Prendiamo poi in considerazione il gettito riveniente dal recupero dell’evasione fiscale.

E’ indubbio che il volume sia in costante aumento (circa 12 miliardi nel 2011 e almeno altrettanti nel 2012), ma siamo consapevoli che i risultati raggiunti sono poca cosa rispetto alla pervasività del fenomeno; questo anche perché gli alti livelli delle aliquote fiscali applicate rendono appetibile l’evasione, soprattutto quando le cifre in gioco sono elevate.

In ogni caso gli importi riscossi e recuperati, per quanto ingenti, non sono attualmente tali da incidere in maniera significativa sulla riduzione dello stock di debito preesistente.

Probabilmente l’efficacia del recupero dell’evasione troverà maggiori riscontri nel medio termine, in concomitanza con l’applicazione di strumenti di indagine di maggior efficacia e una riduzione delle aliquote fiscali che renda “appetibile” pagare le tasse.

 Rimane da considerare l’ultima ipotesi: la vendita di significativi “gioielli di famiglia”.

La vendita di asset pubblici per un importo di 300/400 miliardi di Euro, avrebbe il beneficio di ridurre significativamente il debito pubblico senza incidere sul livello della spesa (e quindi del PIL) e senza richiedere ulteriori sacrifici in termini di tassazione ai cittadini.

Questo tipo d’intervento attiverebbe una spirale virtuosa: la riduzione del debito porterebbe ad un minor fabbisogno per interessi sul debito pubblico e ad un minor impatto sui tassi da applicare sui titoli del debito da parte dello stato italiano; la riduzione complessiva delle risorse richieste avrebbe la reale capacità di consentire l’applicazione di aliquote fiscali più contenute.

 Quindi nel breve periodo le soluzioni possibili riguardano, il miglioramento degli strumenti d’indagine per il recupero dell’evasione fiscale, la semplificazione degli adempimenti, ma soprattutto la riduzione del debito perseguita attraverso la vendita di beni dello stato.

Tale argomento richiede un approfondimento a parte che non tratterò in questo articolo.

Nel medio periodo sarà poi possibile ridurre la pressione fiscale bilanciando nel contempo il gettito con gli aumenti rivenienti dal recupero dell’evasione.

Occorre dunque la consapevolezza che il percorso sarà sofferto, pieno di insidie (finanziarie) e soprattutto temporalmente lungo; il nuovo patto fiscale tra Stato e cittadini, per essere tale, dovrà comprendere, oltre a quanto esposto, una drastica razionalizzazione dei costi della politica e una buona dose di…disincanto, ad evitare le chimere della demagogia elettorale.

Credo, per finire, sia utile ricordare quanto sottolineava già nel 1776 l’economista Adamo Smith. Scrivendo “The wealth of Nations”, esprimeva, tra gli altri, alcuni ovvi e fondamentali principi in merito alla tassazione:

• la proporzionalità della tassazione al reddito prodotto e la sua sostenibilità

• la certezza e la semplicità dei calcoli necessari per determinare gli importi da pagare

• la possibilità di pagare nelle modalità più comode per il contribuente

Principi che nei due secoli successivi siamo riusciti a disattendere; speriamo, per poterne godere di nuovo, di non dover attendere un periodo altrettanto lungo…

Michele Paolo Pastore

 

 

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Articolo pubblicato il 06/01/2013