La guerra raccontata dalle donne

Giornaliste e fotoreporter sono diventate le nuove voci dei conflitti nel mondo

Fonte: Giornalettismo.com

Nei giorni di altissima tensione a Gaza, sono molte le donne che, come giornaliste o fotorepoter, si trovano in prima linea per documentare la guerra, la morte e il terrore dei civili. Il Telegraph ha chiesto a Phoebe Greenwood, corrispondente del quotidiano inglese da Gaza, di raccontare la propria esperienza e quella delle sue tante colleghe arrivate da tutto il mondo per svolgere il proprio compito di giornaliste.

Nella hall del Deira Hotel, dove la Greenwood alloggia, la giornalista inglese ha notato che tutti i corrispondenti attorno a lei nella sala erano donne. Tra esse ci sono anche Jodi Rudoren (New York Times), Ruth Pollard (Sydney Morning Herald), Harriet Sherwood (Guardian), Ana Carbajosa (El Pais), Abeer Ayyoub (freelance Palestinian journalist) and Rolla Scolari (Sky Italia), tutte compagne di lavoro durante gli ultimi travagliati fatti accaduti in Medio Oriente. Con loro c’è anche Heidi Levine comsiderata “la più tosta fotorepoter di guerra” e Eman Mohammed Darkhalil, una fotografa vincitrice di numerosi premi e, in questo momento, in avanzato stato interessante. “Credo che questo alto numero di corrispondenti donne dalle zone di guerra sia un segno della parità tra sessi – spiega la Greenwood – ora è perfettamente normale che anche le donne stiano in prima linea”.

“Ovviamente ci sono donne come Kate Adie, Marie Colvin e Olga Guerin, che ci hanno spianato la strada. Ma ora siamo trattate con totale uguaglianza quando di tratta di andare in mezzo al conflitto”, afferma ancora la Greenwood. E questo è stato chiaro fin dall’anno scorso, dall’inizio delle proteste in Libia: tutti i giornalisti presenti nella Piazza Verde di Tripoli erano donne. Quando si tratta di fare le corrispondenti da una zona di guerra, le donne sembrano avere una marcia in più. E, sorprendetemene, sarebbe proprio a causa del loro essere donne. “Siamo diventate una sorta di terzo genere e, in un certo senso, siamo più sicure proprio perché siamo donne – svela la Greenwood – Gli uomini musulmani ci trattano con deferenza, ci parlano della guerra, delle loro armi e delle loro strategie, cosa che non farebbero mai con le donne del loro paese. Inoltre, difficilmente farebbero del male a una giornalista: i militanti musulmani non decapitano le donne, né le rapiscono”. Inoltre, una giornalista può avvicinare più facilmente le donne i bambini, cosa che non è concessa ai colleghi uomini. Insomma, possono conoscere meglio la realtà dei fatti.

Nonostante essere una giornalista di guerra diventi ogni giorno più gratificante, una donna si trova sempre a dover fare i conti con il proprio ruolo di madre. Non sono da meno le giornaliste arrivate a Gaza che sono madri pur affrontando quotidianamente i reali pericoli della loro professione. “Le mie colleghe che hanno dei figli si struggono al pensiero dei loro bambini preoccupati. È difficile anche per i padri, ma c’è qualcosa di diverso nell’idea di perdere la propria madre mentre si trovava in una zona di guerra – racconta la Greenwood – Essere genitori comporta delle responsabilità. Alcune donne scelgono posizioni meno rischiose”. Eppure, alla domanda “Perché lo fai?” Phoebe Greenwood risponde semplicemente: “Non c’è niente di meglio che raccontare i momenti più critici della nostra era”.

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Articolo pubblicato il 22/11/2012